30 settembre 2011. Agevolazioni perse per i fabbricati rurali non dichiarati


Mancano ormai pochi giorni al 30 settembre, ultimo giorno utile ai proprietari di immobili rurali per inviare all’Agenzia del Territorio le domande relative agli immobili appunto rurali non classificati nelle categorie A/6 e D/10.

Al riguardo, infatti, è opportuno ricordare che il 21 settembre scorso il Ministero dell’Economia e delle Finanze, con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale di un apposito decreto, ha stabilito le modalità applicative del D.L. n. 70/2011, articolo 7, commi 2-bis, 2-ter e 2-quater (decreto sviluppo), convertito nella legge 106/2011, che ha dettato nuove disposizioni in materia di classamento dei fabbricati per i quali sussistono i requisiti di ruralità di cui all’art. 9 del D.L. n. 557/1993, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1994, n. 133.

In particolare, il comma 2-bis del citato articolo 7 stabilisce che “Ai fini del riconoscimento della ruralità degli immobili ai sensi dell’articolo 9 del decreto-legge 30  dicembre  1993,  n.  557, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1994, n.  133, e successive modificazioni, i soggetti interessati possono presentare all’Agenzia del territorio una domanda di variazione della  categoria catastale per l’attribuzione all’immobile della categoria A/6 per gli immobili rurali ad uso abitativo  o  della  categoria  D/10  per  gli immobili rurali ad uso strumentale”.

La variazione catastale in esame, quindi, non può che riguardare le costruzioni già transitate nel catasto fabbricati, mentre non può riguardare i fabbricati risultanti in mappa del catasto terreni in quanto a quelli non è attribuita alcuna categoria catastale. La nuova disciplina contenuta nel comma 2-bis dell’articolo 7 del decreto sviluppo, infatti, non prevede l’obbligo del trasferimento degli immobili rurali al catasto fabbricati (se non ancora iscritti), ma soltanto quello di chiedere la variazione della categoria catastale qualora detti immobili non siano classificati nelle categorie A/6 e D/10.

Si ricorda che, per le costruzioni rurali, l’onere di iscrizione nel catasto fabbricati scaturisce dall’approvazione del decreto del Ministro delle Finanze n. 28 del 2 gennaio 1998 e riguarda gli immobili per i quali si verificano:

  • variazioni oggettive, come una nuova costruzione, ovvero un ampliamento;
  • variazioni soggettive della proprietà, come nel caso di compravendita, oppure nel caso di successione o donazione.

Oltre ai casi sopra esposti, inoltre, è bene ricordare che:

  • per i fabbricati di nuova costruzione va comunque presentata l’autocertificazione.
  • l’obbligo del trasferimento al catasto fabbricati è sempre esistito per le costruzioni che hanno perduto i requisiti di ruralità.

Stante quanto sopra evidenziato, i contribuenti, titolari di un diritto di proprietà o di un diritto reale di godimento di immobili accatastati in altre categorie dovranno presentare agli uffici territoriali dell’Agenzia del Territorio una “domanda di variazione della categoria catastale” perché venga attribuita la nuova categoria A/6, di classe R (istituita con il decreto del 14 settembre 2011) se abitazione, la categoria D/10 se fabbricato strumentale. Si ricorda, tuttavia, che il proprietario o il titolare di diritti reali dovrà attestare il possesso dei requisiti previsti dall’art. 9, D.L. n. 557/1993 (abitazione utilizzata dal conduttore del fondo, destinata all’agriturismo, utilizzata dal socio di società agricola, ovvero immobile strumentale, etc.).

In altri termini, alla domanda di variazione catastale, che può essere sottoscritta da uno qualunque dei titolari di diritti reali sull’immobile, va aggiunta un’autocertificazione sul possesso dei requisiti già dal quinto anno precedente la domanda stessa, cioè almeno dal 2006 (a meno che non siano stati acquistati successivamente).

Il suddetto periodo quinquennale produce l’importantissimo effetto di rendere retroattivo il riconoscimento di ruralità e, quindi, consente di dirimere il contenzioso in atto in materia di imposta comunale sugli immobili. Inoltre, considerato che il decreto non lo vieta espressamente, non dovrebbe tuttavia essere vietata la richiesta se la destinazione rurale dura da meno di cinque anni.

L’Agenzia del Territorio dovrà verificare l’esistenza dei requisiti di ruralità entro il 20 novembre 2011 e, in ogni caso, ha tempo fino al 20 novembre 2012 per negare la categoria catastale del fabbricato con provvedimento motivato. Fino al suo pronunciamento, il fabbricato mantiene la natura rurale. Tuttavia, in caso di pronunciamento negativo, il proprietario sarà tenuto a pagare le imposte non versate (Irpef e Ici) oltre agli interessi e alle sanzioni determinate in misura doppia.

Secondo il comunicato del direttore dell’Agenzia del Territorio, pubblicato il 21 settembre scorso, la domanda di variazione potrà essere consegnata:

  • direttamente all’Ufficio del Territorio;
  • per posta con raccomandata con avviso di ricevimento;
  • via fax;
  • per posta elettronica certificata.

Tale domanda potrà essere presentata direttamente dal titolare dei diritti reali sui fabbricati rurali o dai soggetti incaricati, individuati fra i professionisti abilitati alla redazione degli atti di aggiornamento di catasto terreni ed edilizio urbano, ovvero tramite le associazioni di categoria degli agricoltori.

Si ricorda che la domanda di variazione catastale è necessaria per il riconoscimento della ruralità. Infatti, se il proprietario non provvede a classificare le proprie costruzioni nella categoria catastale A6 o D/10, le conseguenze fiscali potrebbero essere nefaste. Il fabbricato rurale iscritto in altre categorie catastali, stante il disposto del decreto sviluppo coordinato con le regole attuative del DM 14 settembre 2011, genera questi effetti:

  • è soggetto all’imposta comunale;
  • è soggetto all’Irpef o all’IRES sulla rendita catastale;
  • ai fini di imposte di registro, ipotecaria e catastale assolve le imposte ordinarie;
  • ai fini di imposte di successione o donazione deve essere soggetto a valutazione autonoma;
  • non usufruisce dell’esclusione da IVA (articolo 2, Dpr 633/1972).