Il contratto a progetto non è per tutti

Il contratto di lavoro a progetto è una delle forme più ricorrenti di flessibilità nel rapporto di lavoro. Esso è riconducibile all’ambito  della parasubordinazione, schema per cui la giurisprudenza ha individuato gli elementi qualificanti della continuità, della coordinazione, del carattere prevalentemente personale ed autonomo della prestazione.

Le collaborazioni coordinate e continuative a progetto sono definite dall’articolo 61 del D.Lgs .n. 276/2003 (di attuazione della cd. “Legge Biagi”), che, recentemente riformato dall’articolo 1, comma 23, lett. a) della Legge n. 92/2012 (cd.“Riforma Fornero”) e dall’art. 24-bis, comma 7 del D.L. n. 83/2012 (convertito con modificazioni dalla L. n. 134/2012), stabilisce che “i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa prevalentemente personale e senza vincolo di subordinazione, di cui all’articolo 409, numero 3), del codice di procedura civile, devono essere riconducibili a uno o più progetti specifici determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore”.

La “Riforma Fornero” è intervenuta su una pluralità di aspetti di questa tipologia contrattuale: tra questi,  il progetto rappresenta senza dubbio uno dei profili più interessanti di intervento del legislatore. In primo luogo, come evidenziato più sopra, nell’attuale versione normativa non compare più il riferimento al “programma” di lavoro o “fase” di esso, come invece contenuto nella formulazione precedente dell’articolo.

Relativamente al progetto, invece, è stato specificato che nello stesso, descritto analiticamente nel contratto di collaborazione, devono essere individuati il contenuto caratterizzante ed il risultato finale che si intende conseguire.

Ancora, con particolare riferimento ai requisiti del progetto, la Riforma è intervenuta con delle specifiche disposizioni, stabilendo che:

  • il progetto deve essere funzionalmente collegato a un determinato risultato finale;
  • non può consistere in una mera riproposizione dell’oggetto sociale del committente;
  • non può comportare lo svolgimento di compiti meramente esecutivi o ripetitivi.

Con riguardo a quest’ultima disposizione, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con circ. n. 29/2012, ha indicato in via esemplificativa alcune attività difficilmente inquadrabili nell’ambito di un genuino rapporto di collaborazione coordinata e continuativa.

Per cui, riportiamo qui di seguito un estratto dell’elencazione fornita dal Ministero, che dal punto di vista operativo può risultare di particolare interesse: addetti alle pulizie, autisti e autotrasportatori, baristi e camerieri, commessi ed addetti alle vendite, estetiste e parrucchieri, magazzinieri, manutentori, addetti alle attività di segreteria e terminalisti, prestazioni rese nell’ambito di call center per servizi in bound.

È importante comunque ricordare che una delle più rilevanti ipotesi di illegittimità del contratto a progetto è quella in cui il collaboratore svolga l’attività con modalità analoghe a quella svolta dai dipendenti dell’impresa committente: in questo caso il rapporto di collaborazione è considerato, salvo prova contraria del committente, rapporto di lavoro subordinato sin dalla data di costituzione (sono fatte salve le prestazioni di elevata professionalità individuate dai contratti collettivi).

Stefano Carotti – Centro Studi CGN