Deducibilità dei compensi agli amministratori: aspetti controversi

Una delle tematiche di maggior interesse sotto il profilo della prassi amministrativa e della giurisprudenza è rappresentata dalla deducibilità dei compensi agli amministratori. Infatti, se la prima ha sempre affermato che i compensi agli amministratori sono deducibili ma la loro congruità è sindacabile, sotto il profilo della giurisprudenza sono emersi orientamenti non uniformi. Ecco una sintesi.

Ci sembra doveroso anzitutto delineare brevemente il quadro normativo di riferimento.

Ai sensi dell’art. 95 comma 5 TUIR i compensi erogati agli amministratori delle società di capitali, delle sas e delle snc sono deducibili al momento della corresponsione: il regime per cassa è stato previsto dal legislatore al fine di evitare un disallineamento tra la deduzione per competenza che avrebbe operato la società e la tassazione al momento della percezione da parte dell’amministratore.

Assodato quindi che gli emolumenti corrisposti agli amministratori sono, in linea di principio, sempre deducibili, resta da chiarire se e come la loro misura possa essere oggetto di sindacato da parte del fisco.

Per quanto concerne l’Agenzia delle Entrate, nella risoluzione 113/E del 31 dicembre 2012 ha affermato che la misura di tali emolumenti risulta essere sempre contestabile e che, per la precisione, in sede di attività di controllo l’Amministrazione finanziaria può disconoscere totalmente o parzialmente la deducibilità dei componenti negativi di cui si tratta in tutte le ipotesi in cui i componenti negativi appaiano insoliti, sproporzionati ovvero strumentali all’ottenimento di indebiti vantaggi.

Se l’Agenzia delle Entrate ha assunto una posizione netta sulla questione, non può dirsi altrettanto per la giurisprudenza di legittimità, che invece ha manifestato una pluralità di orientamenti contrastanti.

Infatti secondo l’orientamento più datato, rientra nei poteri dell’Amministrazione Finanziaria la valutazione di congruità dei costi e dei ricavi esposti nel bilancio e nelle dichiarazioni anche se non ricorrono irregolarità nella tenuta delle scritture contabili o vizi degli atti giuridici compiuti nell’esercizio d’impresa, con negazione della deducibilità di parte di un costo sproporzionato ai ricavi o all’oggetto dell’impresa.

Pertanto la deducibilità dei compensi degli amministratori delle società non implica che l’ufficio sia vincolato alla misura indicata in delibere sociali o contratti.

A decorrere dal 2008 la Suprema Corte ha però sviluppato un secondo filone giurisprudenziale in base al quale è preclusa al Fisco ogni possibilità di sindacare l’ammontare degli emolumenti amministrativi.

Con le ultime pronunce sul tema si è ripreso l’orientamento più datato: nello specifico con la sentenza n. 3243 dell’11 febbraio 2013 e con la sentenza n. 9036 depositata il 15 aprile 2013 è stato stabilito che il fisco può sempre disconoscere la deducibilità, ai sensi dell’art. 109 TUIR, dei costi che ritenga sproporzionati, anche se non emergono irregolarità dalle scritture contabili, ben potendo svincolarsi dai valori indicati in delibere sociali o contratti.

Inoltre se l’Amministrazione finanziaria contesta la congruità dei compensi agli amministratori dedotti dalla società, spetta a quest’ultima fornire la prova contraria e, quindi, dimostrare che l’ammontare di tali emolumenti è congruo in relazione al caso concreto.

In conclusione, sebbene il filone giurisprudenziale da ultimo illustrato si stia consolidando, allo stato attuale non si può ancora ritenere pacifica alcuna posizione in seno alla Suprema Corte per quanto riguarda la deducibilità dei compensi agli amministratori.

Stefano Venturelli – Centro Studi CGN