Redditometro: i risparmi giustificano gli incrementi patrimoniali

Si è discusso a lungo circa il trattamento degli incrementi patrimoniali per la ricostruzione del reddito. Lo scorso 31 luglio, la circolare esplicativa sul redditometro (n. 24/E) ha confermato il meccanismo di ripartizione delle spese per incrementi patrimoniali introdotto dal decreto del 24 dicembre 2012. Chiariamo meglio tale meccanismo di calcolo attraverso un esempio pratico.

L’algoritmo formulato nel decreto del 24 dicembre 2012 prevede, tra gli elementi che concorrono a formare il reddito complessivo sintetico, la categoria degli incrementi patrimoniali, indicando un contenuto induttivo che si determina in funzione dell’ammontare della spesa necessaria per sostenere quell’investimento.

Il decreto distingue le spese per investimenti in:

  • spese per l’acquisto di beni immobili e/o terreni;
  • spese per l’acquisto di beni mobili registrati;
  • spese per altri incrementi patrimoniali relativi a polizze assicurative, contributi previdenziali volontari, oggetti d’arte ecc.

Per gli acquisti di beni immobili e/o terreni e dei beni mobili registrati,  il contenuto induttivo è determinato in ragione del costo sostenuto, al netto del mutuo o del finanziamento contratto per quel determinato investimento. Gli altri beni (polizze, contributi volontari ecc.) rilevano per l’intero ammontare, anche se non si comprendono le ragioni per cui non si debbano considerare gli eventuali finanziamenti finalizzati a tali spese.

Il valore complessivo dell’incremento patrimoniale si determina considerando gli investimenti netti (investimenti meno disinvestimenti) relativi all’anno di riferimento. Dagli investimenti netti occorre sottrarre i disinvestimenti netti (disinvestimenti meno investimenti) degli ultimi quattro anni.

Il criterio adottato nel decreto ministeriale tiene conto del fatto che gli incrementi patrimoniali possono essere stati finanziati con disinvestimenti presenti e passati (per esempio vendita di un immobile finalizzato all’acquisto di un altro immobile).

Il decreto sembra voler mitigare l’impatto degli incrementi patrimoniali nel processo di ricostruzione del reddito, superando quanto era stato annunciato con l’ipotesi di far concorrere tali incrementi per intero nell’esercizio in cui si verificavano le spese.

La nuova versione della partecipazione degli incrementi patrimoniali al reddito sintetico risulta diversa da quella prevista nel vecchio redditometro, laddove l’incremento patrimoniale veniva “spalmato per quinti”, nell’anno di sostenimento della spesa e nei 4 precedenti.

Consideriamo un esempio: un contribuente acquista un immobile di un valore pari a € 400.000 e stipula un mutuo pari a € 300.000. Nella vecchia versione la differenza pari a € 100.000 costituiva un incremento patrimoniale da ripartire in 5 anni (anno di acquisto e 4 precedenti). Nella nuova versione, il contribuente dovrebbe dimostrare la formazione del valore di € 100.000 con i disinvestimenti netti effettuati (per esempio vendita di altri immobili, vendita di titoli ecc.). Nel caso in cui il contribuente non riuscisse a dimostrare la sussistenza di disinvestimenti netti, l’intero ammontare di € 100.000 concorrerebbe a formare il reddito dell’anno di acquisto della spesa.

Il nuovo meccanismo ha trovato conferma nella circolare n. 24/E del 31/7/2013 dell’Agenzia delle Entrate. È stato smentito il cambio di rotta  ipotizzato in un primo momento secondo cui era intenzione dell’Agenzia delle Entrate tornare al meccanismo che prevedeva la ripartizione degli incrementi patrimoniali nell’anno di sostenimento della spesa e nei quattro precedenti.

Come era stato fatto notare, non era possibile introdurre tale modifica con una circolare. Era una novità che si sarebbe posta in contrasto con le norme del decreto e quindi la sua introduzione sarebbe stata possibile solo a seguito di specifica modifica normativa del decreto del 24 dicembre 2012.

Nel computo della determinazione del reddito sintetico, rappresenta una novità il concorso della quota di  risparmio dell’anno, che può essere rappresentato dalla differenza dei saldi iniziale e finale dei conti correnti del contribuente.

La logica adottata va nel senso di ritenere che il reddito è dato dalla sommatoria tra le spese e il risparmio; ne consegue che l’incremento del saldo positivo (differenza tra saldo finale iniziale dell’anno n) di un conto corrente rappresenta il risparmio di un contribuente in un certo anno e può essere considerato come un reddito non speso, quindi determinante nel computo del reddito sintetico.

Il decreto e la circolare non prendono in considerazione l’ipotesi del saldo negativo (saldo iniziale maggiore del saldo finale). A rigor di logica si dovrebbe trattare di una componente che dovrebbe ridurre il volume delle spese dell’anno di riferimento, in quanto si tratta di redditi passati che hanno finanziato spese necessarie in anni successivi.

È il caso di evidenziare che i due elementi (quota degli incrementi patrimoniali netti dell’anno e quota di risparmio formatasi nell’anno), per la determinazione del reddito sintetico dell’anno, non dovrebbero essere considerati completamente autonomi e separati tra loro, ma andrebbero considerati nella loro logica complessiva.

Riprendendo l’esempio precedente:

  • il contribuente non potendo dimostrare che la differenza di € 100.000 dipende dai disinvestimenti netti effettuati, potrebbe vedersi contestare dall’Ufficio l’intero ammontare nell’anno di sostenimento della spesa;
  • quel contribuente potrebbe dimostrare però, che la parte di € 100.000 si è formata grazie ai risparmi che si sono accumulati nel corso degli anni, presentando in sede di contraddittorio i vari estratti conti degli anni passati. Per esempio: un incremento del saldo positivo del conto corrente di € 10.000 per 10 anni determina un valore di € 100.000 (oppure degli ultimi 4 anni partendo con un saldo positivo nell’anno n – 4 congruo ai fini della ricostruzione della quota di risparmio).

Le argomentazioni proposte sono confermate dalla circolare n. 24/E del 31/7/2013. Infatti il contribuente, In sede di contraddittorio potrà fornire la prova relativa:

a)     alla formazione della provvista, che potrebbe anche essersi realizzata nel corso di un periodo diverso rispetto ai quattro anni indicati nel decreto;

b)    all’utilizzo della provvista per l’effettuazione dello specifico investimento.

La logica esposta nell’esempio e confermata nella circolare ha il merito di evitare, nel calcolo degli incrementi patrimoniali, l’utilizzo di metodi presuntivi (dopotutto la ripartizione dell’incremento patrimoniale in cinque anni rappresenta una ripartizione arbitraria), oppure di metodi illogici (anche non considerare i risparmi accumulati nel corso degli anni è una stortura), in favore di un metodo che prevede una ricostruzione effettiva dei redditi che si sono prodotti nel corso degli anni analizzando disinvestimenti netti e risparmi accumulati.

Nicolò Cipriani – Centro Studi CGN