Prelevamenti e versamenti nelle indagini finanziarie: le novità dopo il D.L. 193/2016

Una delle modifiche più importanti del D.L. 193/2016 riguarda le norme sui prelevamenti e versamenti non giustificati che vengono utilizzati nelle indagini finanziarie. Si tratta di una modifica normativa che si è resa necessaria dopo i recenti interventi della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione. Vediamo come cambia la presunzione su prelievi e versamenti non giustificati.

In base alle nuove disposizioni, il Fisco può accertare maggiori elementi reddituali sulla base dei versamenti e dei prelevamenti bancari non giustificati, nella logica secondo la quale, se la movimentazione bancaria non trova riscontro nelle scritture contabili, o comunque non è oggetto di prova contraria, vi è la possibilità che il versamento/prelievo non giustificato possa trasformarsi in ricavo o compenso.

Per i versamenti non giustificati la norma di riferimento è l’articolo 32, comma 1, numero 2), del D.P.R. 600/1973 il quale stabilisce, in primo luogo, che i dati relativi ai rapporti con gli intermediari finanziari “sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli articoli 38, 39, 40 e 41 del D.P.R. 600/1973, se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito o che non hanno avuto rilevanza allo stesso fine”. Risulta poi una specifica previsione riguardante i prelevamenti non giustificati, secondo cui “alle stesse condizioni sono altresì posti come ricavi o compensi a base delle stesse rettifiche ed accertamenti, se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario e sempreché non risultino dalle scritture contabili, i prelevamenti o gli importi riscossi nell’ambito dei predetti rapporti od operazioni”.

In questo contesto normativo è intervenuta la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 228 del 2014, che ha dichiarato incostituzionale la norma nella parte che presumeva il prelevamento non giustificato riconducibile al compenso non dichiarato per i possessori di reddito di lavoro autonomo. Secondo il ragionamento della Corte non è attendibile che chi esercita un’arte o una professione di lavoro autonomo acquisti merce in nero al fine di rivenderla sempre in nero. Si tratta di una sentenza che riguarda esclusivamente i possessori di reddito di lavoro autonomo, limitatamente alla presunzione derivante dai prelevamenti, e non riguarda in alcun modo i versamenti non giustificati anche perché quest’ultima norma è applicabile a tutti i contribuenti, dai lavoratori dipendenti ai professionisti.

Vanno segnalate anche le sentenze della Cassazione (che forse hanno giustificato l’intervento normativo) in quanto in diverse occasioni (cfr sentenze 23041/2015 e 12779, 12781 e 16440 del 2016) ha stabilito per i professionisti l’inapplicabilità della presunzione legale non solo per i prelevamenti non giustificati, ma anche per i versamenti (non giustificati). Si è trattata di una presa di posizione criticata da più parti in quanto, come molti hanno osservato, la Corte Costituzionale si è pronunciata solo sull’illegittimità della previsione legata ai prelevamenti dei professionisti, e non su quella dei versamenti da parte degli stessi professionisti.

Alla luce del quadro giurisprudenziale che si andava delineando il D.L. 193/2016 è intervenuto sul DPR 600/1973 introducendo le seguenti novità:

  1. viene eliminato il riferimento ai compensi riconducibile al lavoro autonomo recependo di fatto la sentenza n. 228/2014 della Corte Costituzionale;
  2. con riferimento ai prelievi da parte dei titolari di reddito d’impresa si introduce un limite di 1.000 euro giornalieri, e comunque di 5.000 euro mensili al di sotto del quale la presunzione non può operare e non scatta l’inversione dell’onere della prova;
  3. non si interviene minimamente sull’effetto presuntivo derivante dai versamenti non giustificati, che, ora come in precedenza, rimane per tutti i contribuenti (lavoratori dipendenti titolari di redditi di impresa e lavoro autonomo).

La nuova disposizione che introduce limiti quantitativi sui prelevamenti (per importi superiori a 1.000 euro giornalieri e, comunque, a 5.000 euro mensili) riguarda solo i titolari di reddito d’impresa. È una norma che va incontro a quelle fattispecie soggettive contigue a quelle di lavoro autonomo (per esempio gli agenti di commercio e lavoratori autonomi che determinano reddito di impresa) che avrebbero subìto l’applicazione rigida della norma che accosta i prelevamenti non giustificati ai ricavi non potendosi tener conto anche per loro del ragionamento della Consulta.

La lettera della novella normativa depone in favore della simultaneità delle soglie (1.000 euro giornalieri – 5.000 euro mensili) che devono quindi sussistere in via congiunta e non alternativa. È possibile effettuare dieci prelevamenti dal conto corrente in un mese così come un unico prelevamento di 5.000 euro senza dover fornire alcuna giustificazione. L’incertezza riguarda, invece, il concetto temporale di mese, se da intendersi in senso “solare” oppure in senso “convenzionale”, vale a dire partendo da ogni prelevamento e computando quelli successivi nell’arco di 30 giorni. Su quest’ultimo punto sarà interessante conoscere il pensiero dell’Agenzia delle Entrate.

Nicolò Cipriani – Centro Studi CGN