Addio ai voucher: l’abrogazione del lavoro accessorio

Il boom che negli ultimi anni ha interessato il lavoro accessorio ha tra l’altro fatto sì che aumentassero in misura esponenziale i casi di utilizzo border line dell’istituto, rendendo sempre maggiormente avvertita l’esigenza di superare lo stesso. Pertanto, con il D.L. 17 marzo 2017, n. 25, convertito con L. n. 49/2017, è stata disposta l’abrogazione dei voucher ed altresì modificata la disciplina della responsabilità solidale negli appalti, disciplinata dall’art. 29, D.Lgs. n. 276/2003. Di seguito vedremo quali conseguenze tale intervento ha avuto sul sistema dei buoni lavoro.

Introdotto nel nostro ordinamento dal D.Lgs. n. 276/2003 con il dichiarato scopo di consentire l’emersione di sacche di lavoro nero, specie in quegli ambiti dove maggiormente elevato era il rischio del verificarsi di irregolarità, il lavoro accessorio è stato oggetto nel tempo di numerosi e non sempre lineari interventi modificativi.

In un primo momento, infatti, i voucher potevano essere utilizzati soltanto per lo svolgimento di determinate attività (piccoli lavori domestici a carattere straordinario, insegnamento privato o supplementare, piccoli lavori di giardinaggio, ecc.) da parte di specifiche categorie di soggetti (studenti, pensionati, disoccupati da oltre un anno, casalinghe, ecc.).

Le prestazioni di lavoro accessorio non potevano, inoltre, dar luogo a compensi superiori a 3.000 euro nel corso di un anno solare e durare più di 30 giorni nel medesimo lasso di tempo.

Le stringenti limitazioni di carattere oggettivo e soggettivo appena ricordate furono però alla base del momentaneo insuccesso del lavoro accessorio.

Ciò spinse il Legislatore ad intraprendere un percorso di modifica dell’impianto normativo in discorso, giunto a compimento con l’entrata in vigore del D. Lgs. n. 81/2015, il quale, agli articoli dal 48 al 50, oggi abrogati, disciplinava, appunto, la fattispecie in discorso prevedendo un solo limite di utilizzo di natura economica (tetto annuo di 7.000 euro netti in capo al soggetto percipiente e di 2.000 euro in capo al committente se imprenditore o professionista).

Come ricordato in apertura, la “straordinaria necessità e urgenza di superare l’istituto del lavoro accessorio al fine di contrastare pratiche elusive” ha fatto sì che, con il succitato D.L. n. 25/2017, i voucher siano stati abrogati a far data dal 17 marzo 2017.

Il comma 2, art. 1, del medesimo Decreto legge n. 25, ha previsto inoltre un periodo cuscinetto fino al 31 dicembre 2017, entro cui utilizzare i buoni lavoro già richiesti alla data di entrata in vigore del Decreto stesso.

Al riguardo, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con comunicato sul proprio sito internet – la cui vincolatività è quantomeno discutibile – ha chiarito che nel periodo transitorio sopra ricordato (fino al 31 dicembre 2017), “l’utilizzo dei buoni per prestazioni di lavoro accessorio dovrà essere effettuato nel rispetto delle disposizioni in materia di lavoro accessorio previste nelle norme oggetto di abrogazione”, ancorché le stesse non facciano più parte del nostro ordinamento giuridico.

Una particolarità attiene ai versamenti effettuati dai datori di lavoro nei giorni immediatamente seguenti al 17 marzo. Il sistema consentiva infatti di procedere all’effettuazione dei bonifici per l’acquisto dei voucher nonostante gli stessi fossero stati abrogati.

In merito si è reso necessario l’intervento dell’Inps il quale, con messaggio n.1652 del 14 aprile 2017, ha comunicato l’imminente messa in servizio di una apposita procedura di rimborso dei pagamenti effettuati dai committenti, diversa dalle ordinarie modalità di recupero dei crediti riguardanti buoni lavoro inutilizzati.

In queste ultime ipotesi, infatti, il rimborso prevedeva una decurtazione rispetto alla somma versata per l’acquisto dei voucher. Invece, per gli importi pagati in data successiva al 17 marzo verrà presumibilmente previsto l’integrale ristoro di quanto versato.

In conclusione, non può non sottolinearsi come l’abrogazione dei voucher e la conseguente assenza di una specifica disciplina alternativa, abbiano fatto emergere la necessità di una urgente regolamentazione ad hoc di tutte quelle prestazioni di lavoro marginali che legittimamente erano state utilizzate dalle aziende e dai privati in passato e che, oggi, difficilmente trovano una loro collocazione all’interno dell’ordinamento giuslavoristico.

Al riguardo, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha comunicato di essere da tempo al lavoro, in collaborazione con le organizzazioni sindacali, su di una nuova tipologia di rapporto ispirata ad analoghe esperienze maturate negli altri Paesi europei, tra le quali merita una menzione il c.d. Mini job tedesco, che regola proprio quelle prestazioni lavorative di breve durata, ovvero caratterizzate da una bassa retribuzione.

Stando alle prime indiscrezioni, è proprio su quest’ultimo – unitamente ad alcune modifiche al lavoro intermittente – che dovrebbe essere modellata la fattispecie che verrà licenziata a breve dall’esecutivo.

Stefano Carotti – Centro Studi CGN