Il riaddebito analitico al committente delle spese per lo svolgimento dell’incarico, sostenute dal professionista in nome proprio e per conto del cliente, è disciplinato in maniera differente a seconda che si tratti di imposte sul reddito oppure di IVA. In particolare, la neutralizzazione dei rimborsi spese ai fini della determinazione del reddito di lavoro autonomo introdotta dalla riforma IRPEF non comporta alcuna rilevanza né ai fini IVA né in materia di imposta di bollo. Si tratta di un aspetto chiarito in una risposta durante la videoconferenza Speciale Telefisco 2025 da parte dell’Agenzia delle Entrate.
Stando alla nuova formulazione, l’art. 54, comma 2, lettera b), TUIR dispone che non concorrono alla formazione del reddito di lavoro autonomo le somme percepite a titolo di rimborso delle spese sostenute dall’esercente arte e professione per l’effettuazione di un incarico e addebitate analiticamente in capo al committente. In tale ottica, i rimborsi spese non sono assoggettati a tassazione né a ritenuta e, contestualmente, viene stabilito che le suddette spese non vengano ammesse in deduzione in capo al professionista (salvo alcune ipotesi legate alle difficoltà in sedie di riscossione).
La legge di riforma, però, nulla si dispone con riferimento agli aspetti IVA. Sul punto, è intervenuta l’Agenzia che ha dovuto prendere atto della mancanza di novità ai fini IVA della novella norma (ex art. 54, comma 2, lettera b), del TUIR).
Ai fini IVA, la disciplina del rimborso delle spese vede il professionista operare secondo due modalità legate alla tipologia di mandato:
- in nome e per conto del cliente (con rappresentanza) quando si agisce spendendo il nome del cliente, con tutti i suoi riferimenti fiscali (per esempio ricevute catastali o camerali oppure f24). In questo caso l’operazione è fuori dal campo di applicazione dell’imposta (ex articolo 15, numero 3) DPR 633/1972);
- in nome proprio e per conto del cliente (senza rappresentanza) quando si agisce spendendo il proprio nome ma con gli effetti economici che ricadono sul mandante. In questo caso si verifica una doppia fatturazione, dal prestatore del servizio al professionista e da questi al suo cliente applicando la stessa aliquota IVA del servizio. Per esempio, il caso classico della fattura per vitto e alloggio comporta una fattura da parte dell’albergo con aliquota IVA al 10%; successivamente, il professionista deve ribaltare la stessa spesa al cliente con analoga aliquota.
Da un punto di vista operativo, la doppia fatturazione (prestatore servizio al professionista e quest’ultimo al cliente) comporta le seguenti implicazioni:
- la dichiarazione IVA vedrà nel caso in specie, la possibile compilazione di più aliquote del quadro VE: (prestazione professionale al 22% e addebito del trasporto o dell’albergo al 10 per cento);
- la rilevanza IVA di tali spese dovrebbe determinare, di fatto, la rilevanza delle stesse anche ai fini della rivalsa previdenziale sia con riferimento alle Casse di categoria che con riferimento alla Gestione Separata INPS.
- Ulteriore conseguenza è data dalla circostanza che i riaddebiti analitici al committente determinano un disallineamento tra la base imponibile IRPEF (con conseguente irrilevanza delle stesse ai fini dell’applicazione della ritenuta) e la base imponibile IVA e previdenziale.
In un’ottica di semplificazione, il mancato coordinamento tra le norme sull’imposta sui redditi e l’IVA non produce effetti (anzi li complica).
Inoltre, l’Agenzia ha chiarito che la modifica apportata all’art. 54 del TUIR non produce nessun effetto innovativo neanche ai fini dell’applicazione dell’imposta di bollo.
Si riporta la risposta dell’Agenzia delle Entrate:
IVA 7 I RIMBORSI SPESE SCONTANO L’IMPOSTA
D. Il testo ora vigente dell’articolo 54, comma 2, lettera b), del Tuir dispone che non concorrono a formare il reddito del lavoratore autonomo le somme percepite a titolo di rimborso delle spese sostenute dall’esercente arte o professione per l’esecuzione di un incarico e addebitate analiticamente in capo al committente. La relazione alla normativa conferma che non devono essere assoggettate a ritenuta, ma nulla dice per gli aspetti Iva. Si può ritenere che l’addebito di queste spese non concorra all’imponibile di questa imposta (articolo 15, comma 1, n. 3), legge del Dpr Iva) e che la fattura – come previsto dalle specifiche tecniche di quella elettronica – non sia soggetta all’imposta di bollo, se superiore a 77,47 euro?
R. La novellata formulazione dell’articolo 54, comma 2, lettera b), del Testo Unico delle imposte sui redditi, approvato con Dpr 917/86 (Tuir) – secondo la quale non concorrono a formare il reddito le somme percepite a titolo di «rimborso delle spese sostenute dall’esercente arte o professione per l’esecuzione di un incarico e addebitate analiticamente in capo al committente» – non determina alcuna novità in ordine all’inquadramento ai fini Iva del suddetto rimborso. Pertanto, anche a seguito della recente novella, sono escluse dal campo di applicazione dell’Iva, secondo quanto previsto dall’articolo 15, comma 1, numero 3), del Dpr 633/72, lesole somme dovute a titolo di rimborso delle anticipazioni fatte in nome e per conto della controparte (mandato con rappresentanza), purché regolarmente documentate.
Resta fermo, quindi, che il riaddebito delle spese anticipate dal professionista a proprio nome, per conto del committente (mandato senza rappresentanza), è assoggettato a Iva, ai sensi dell’articolo 3, comma 3, ultimo periodo, del Dpr633/72, per effetto del quale «le prestazioni di servizi rese o ricevute dai mandatari senza rappresentanza sono considerate prestazioni di servizi anche nei rapporti tra il mandante e il mandatario».
La novella non produce alcun effetto innovativo neanche ai fini dell’imposta di bollo. Al riguardo, si rileva che l’articolo 13 della Tariffa, Parte I, allegata al Dpr642/72, stabilisce che è dovuta l’imposta di bollo, fin dall’origine, nella misura di due euro per ogni esemplare, per le «Fatture, note conti e simili documenti, recanti addebitamenti o accreditamenti (…), ricevute e quietanze rilasciate dal creditore, oda altri per suo conto, a liberazione totale o parziale di una obbligazione pecuniaria». La nota 2, lettera a), in calce al suddetto articolo, prevede, inoltre, che l’imposta non è dovuta «quando la somma non supera lire 150.000 ( 77,47 euro)».
Tale disposizione, di carattere generale, trova una deroga nell’ipotesi di cui all’articolo 6 della tabella allegata al Dpr 642/72 («Atti, documenti e registri esenti dall’imposta di bollo in modo assoluto»), che esenta dall’imposta di bollo le «Fatture ed altri documenti di cui agli articoli 19 e 20 della tariffa [attualmente il riferimento deve intendersi all’articolo 13 della tariffa, stante l’ultima versione della stessa approvata con il Dm 20 agosto 1992] riguardanti il pagamento di corrispettivi di operazioni assoggettate ad imposta sul valore aggiunto».
Si ricorda, infine, che le fatture emesse a fronte di più operazioni, i cui corrispettivi in parte non sono assoggettati a Iva, scontano l’imposta di bollo nel caso in cui la somma di uno o più componenti dell’intero corrispettivo fatturato, non assoggettato ad Iva, superi 77,47 euro (risoluzione 98/E del 3 luglio 2001).
Nicolò Cipriani – Centro Studi CGN