La difesa contro il “nuovo” accertamento sintetico

Il legislatore degli ultimi anni ha dato nuovamente impulso all’accertamento sintetico quale strumento particolarmente efficace per contrastare l’evasione fiscale. Il principio è molto semplice: gli uffici cercheranno di individuare i redditi sottratti a tassazione “monitorando” gli atti dispositivi del reddito, cioè le spese che il contribuente sostiene.

Dopo l’approvazione del D.L. n. 78/2010, cioè dopo il varo della c.d. manovra d’estate del 2010, in base al testo novellato dell’art. 38 del D.P.R. n. 600/1973 è stato previsto un principio destinato ad incidere sensibilmente nei rapporti tra cittadini ed Amministrazione Finanziaria.  In particolare, le spese sostenute in un determinato anno si presumono sostenute con redditi conseguiti nel medesimo esercizio.

Il contribuente potrà comunque dimostrare che le spese sono state sostenute con redditi esenti, con redditi sottoposti a tassazione sostitutiva, con redditi legittimamente esclusi dalla base imponibile o con disponibilità finanziarie “accumulate” in esercizi precedenti.

Il criterio di cassa – Cenni

Al fine di applicare correttamente la nuova disposizione, è essenziale definire compiutamente la portata della nozione di “spese sostenute”.  Il punto è stato affrontato espressamente dall’Agenzia delle Entrate che, durante Telefisco, ha attribuito rilevanza al principio di cassa.

Secondo quanto precisato in quella sede, se un contribuente ha corrisposto un acconto per l’acquisto di un immobile, ad esempio in occasione della sottoscrizione del preliminare, la citata presunzione scatta con riferimento alla somma effettivamente corrisposta nell’anno e non per l’intero importo relativo all’atto di compravendita dell’immobile.  Pertanto, se il saldo sarà corrisposto nell’anno successivo tale somma non potrà assumere alcuna rilevanza ai fini dell’accertamento sintetico dell’anno precedente.

Criterio di cassa: a favore e contro e le cautele da utilizzare

Indubbiamente le indicazioni fornite dal Fisco, circa la corretta applicazione del criterio di cassa, contribuiscono a rendere più equilibrata l’applicazione del nuovo strumento.  In sostanza, le spese assumono rilievo ai fini dell’accertamento solo allorquando si verifica l’effettivo pagamento.  Sono dunque irrilevanti gli “impegni” assunti se non sono seguiti da un effettivo flusso di denaro in uscita.

Dopo i chiarimenti forniti dall’Agenzia delle Entrate i primi commentatori si sono affrettati ad individuare un elevato numero di casi in cui il reddito dichiarato inferiore  rispetto al reddito spendibile.

Tale circostanza si verifica, ad esempio, per i redditi di lavoro autonomo.  Ad esempio, se all’interno del quadro RE sono evidenziate rilevanti quote di ammortamento, ma i cespiti sono stati acquistati molti anni prima, il reddito imponibile è superiore a quello effettivamente disponibile (in base ad un principio di cassa puro). Gli ammortamenti sono, quindi, oneri figurativi che, se da una parte concorrono alla diminuzione del reddito di lavoro autonomo (sono deducibili), dall’altra devono essere esclusi se si intende individuare il reddito effettivamente spendibile che risulterà più elevato.  In questo caso i professionisti potranno fare valere l’argomentazione per giustificare la loro capacità di spesa.

Non v’è dubbio come tali argomentazioni siano condivisibili, ma i contribuenti dovranno utilizzare particolari cautele al fine di evitare di fornire al Fisco elementi che nella pratica potrebbero determinare una situazione di minor favore.

Un esempio può riguardare i redditi da partecipazione che i titolari di quote di partecipazioni in società di persone devono dichiarare all’interno del quadro RH, in base al principio di trasparenza, indipendentemente dall’effettiva percezione.

Il principio di cassa potrà, ad esempio, essere fatto valere in proprio favore dal contribuente quando la giustificazione della capacità di spesa risulterà rappresentata dalla distribuzione del reddito dell’anno precedente e già sottoposto ad imposizione nel precedente periodo d’imposta.  Si consideri il seguente esempio:

  • spese sostenute nel 2010 € 60.000;
  • reddito da partecipazione dichiarato nel 2010 € 4.000

Il contribuente, una volta ricevuta una richiesta di chiarimenti da parte dell’Agenzia delle Entrate, sostiene di essere stato in grado di sostenere nel 2010 un ingente ammontare di spese utilizzando il reddito dichiarato “per trasparenza” nel 2009 ed oggetto di distribuzione proprio nel 2010.

Non v’è dubbio come la spiegazione fornita al Fisco sia assolutamente convincente, ma in questo modo il contribuente rischia di compromettere la situazione dell’anno 2009 e l’indagine del Fisco si potrà concentrare su tale annualità. Ad esempio, laddove il contribuente avesse sostenuto un rilevante ammontare di spese anche nel 2009 non sarà in grado di giustificare tali oneri con il reddito dichiarato nel medesimo anno.  Infatti, tale reddito non è stato distribuito in quell’esercizio, ma nel 2010 (successivamente).  Pertanto, nel 2009 non avrà avuto una sufficiente manifestazione di “ricchezza” con la quale sostenere i predetti oneri.

Sarà dunque necessario prestare particolare attenzione nel fornire all’Agenzia delle Entrate le spiegazioni necessarie al fine di evitare l’accertamento sintetico. L’ambito temporale non dovrà essere limitato al solo anno per il quale sembra profilarsi una possibilità di accertamento da parte del Fisco.   Infatti successivamente l’attenzione potrà concentrarsi anche su altri periodi d imposta.

Ulteriori riflessioni devono essere sviluppate qualora un professionista abbia corrisposto nel corso del periodo d’imposta il trattamento di fine rapporto ad un proprio dipendente a seguito della cessazione del rapporto di lavoro.  Infatti, l’esercente arte e professione non potrà considerare in deduzione dal reddito di lavoro autonomo la somma erogata in un’unica soluzione. Le istruzioni per la compilazione del Modello Unico prevedono espressamente che ai fini della determinazione del reddito di lavoro autonomo di cui al quadro RE del Modello Unico le quote di TFR maturate annualmente possono essere considerate in deduzione dal predetto reddito indipendentemente dall’avvenuto pagamento delle stesse.

In questo caso per non penalizzare oltre misura il professionista è stata prevista un’eccezione al principio di cassa.  Invece di attendere l’effettiva interruzione del rapporto di lavoro e il pagamento del trattamento di fine rapporto, le singole quote maturate saranno già state considerate in deduzione negli anni passati.

In questo caso il reddito rilevante ai fini fiscali non potrà essere ulteriormente diminuito della spesa sostenuta  nell’anno di  pagamento del trattamento di fine rapporto.  Infatti se così fosse la medesima spesa risulterebbe considerata in deduzione due volte.  In pratica nell’anno in cui è avvenuto il pagamento del TFR  il reddito tassabile è maggiore rispetto a quello effettivamente spendibile in quanto quest’ultimo deve essere determinato tenendo in considerazione integralmente l’intero trattamento di fine rapporto corrisposto.  Si consideri il seguente esempio:

  • spese sostenute nel 2010 € 60.000;
  • reddito di lavoro autonomo tassabile da quadro RE € 80.000;
  • trattamento di fine rapporto corrisposto nel 2010 € 60.000.

È evidente che, con riferimento all’esempio sopra riportato, il reddito effettivamente spendibile si riduca a € 20.000, cioè il reddito dichiarato, al netto del trattamento di fine rapporto.  In questo caso il contribuente non sarà più in grado di giustificare gli oneri sostenuti nell’anno di gran lunga superiori rispetto alla quota di reddito effettivamente spendibile.

L’esempio sopra riportato non intende generare ulteriori  preoccupazioni, ma vuole semplicemente evidenziare come la fase del contraddittorio sia particolarmente delicata potendo emergere durante la stessa  non solo elementi a favore del contribuente, ma anche a favore dell’Agenzia delle entrate che applicherà molto probabilmente, anche a suo favore, il criterio di cassa puro.