Reato di bancarotta fraudolenta per commercialista e avvocato

In caso di bancarotta fraudolenta della società fallita possono rispondere anche il commercialista e l’avvocato che abbiano avuto un ruolo chiave nel seguire le operazioni della società cliente.

Con la sentenza n. 121 del 9 gennaio 2012, la quinta sezione penale della Corte di Cassazione ha stabilito infatti che commercialista e avvocato possono rispondere del reato di bancarotta fraudolenta distrattiva e documentale, commesso in concorso con il cliente.

Veniamo ai fatti.

In seguito al fallimento di una srl, venivano rinviati a giudizio per bancarotta fraudolenta aggravata distrattiva e documentale, vari soggetti che si erano alternati nella guida dell’azienda, insieme ai due professionisti, un avvocato ed un commercialista.

I due professionisti assistevano i soci e gli amministratori della srl che all’epoca, versava in brutte acque, e in un tentativo di operare un risanamento aziendale, conclusosi con il fallimento della società sono stati ritenuti responsabili insieme ai loro clienti.

Ai due consulenti veniva anche addebitato il delitto di cui agli articoli 223 comma 2, n. 2 e   216 comma I n. 1 e 2, e  219 comma I e II della legge fallimentare. In concorso con altri soggetti coinvolti nella società, i due professionisti, avrebbero cagionato il fallimento della società.

Tale responsabilità professionale è stata evidenziata nei due gradi di giudizio “nella condotta che esula da qualsiasi attività di consulenza e si estrinseca in una oggettiva condotta distrattiva degli amministratori clienti dei professionisti”.

Per quanto si evince dalla sentenza, il piano di risanamento operato dai due professionisti si era tradotto nella cessione dei rami produttivi dell’azienda insolvente a due società neocostituite.

Per la Corte Suprema, l’attività dei due professionisti ha superato senza alcun dubbio il limite della mera consulenza, poichè i professionisti svolgevano un duplice ruolo nell’operazione di risanamento perchè, da un lato ciascuno di essi era consulente della cedente e dall’altro era dominus della cessionaria.

A conferma di ciò, come si legge nella sentenza, il trasferimento dei beni dalla società cedente alla cessionaria configurava vera e propria cessione di rami aziendali, il cui valore era molto superiore al prezzo della locazione versato e le giacenze di magazzino erano state sovrastimate per essere poi ceduto con uno scarto in difetto molto sostanzioso.

Per i giudici chiamati a decidere, la distrazione dei beni operata attraverso i suesposti artificiosi meccanismi espone i due professionisti all’accusa di aver provocato il dissesto della società fallita, ed essendo stati ideatori di tale operazione non possono in alcun modo dichiararsi del tutto estranei alla finalità fraudolenta e ingannevole così come allo stesso modo non possono dichiararsi inconsapevoli della reale natura e degli effettivi scopi della operazione di “spoliazione”.

Autore: Antonino Salvaggio – Centro Studi CGN

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