Licenziamento, dalla riforma Fornero al Jobs Act: le novità

Tra le novità introdotte dal Jobs Act del governo Renzi troviamo la tanto discussa riforma dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori che disciplina il licenziamento, già oggetto di novità con la precedente riforma del lavoro, la legge n. 92 del 2012. Vediamo in sintesi cosa prevede l’una e cosa l’altro.

Il licenziamento economico

Il licenziamento per motivi economici, anche detto per giustificato motivo oggettivo, è l’atto con il quale il datore di lavoro interrompe senza accordo con il lavoratore, il rapporto di lavoro, per motivi che riguardano la riorganizzazione dell’azienda. Il giustificato motivo oggettivo sta ad indicare una serie di oggettive ragioni che inducono il datore di lavoro a licenziare, senza poter rimpiegare il lavoratore in altri comparti dell’azienda.

  • Riforma Fornero: la legge n. 92/2012 ha previsto delle modifiche per quanto riguarda le sanzioni in capo al datore di lavoro qualora il Giudice accerti che il licenziamento per motivi economici sia stato effettuato illegittimamente. Quando il Giudice ritiene fondata la contestazione da parte del lavoratore e accerta che non sussistevano i motivi previsti dalla legge per procedere al licenziamento, riconosce al lavoratore un indennizzo economico. Se però le ragioni alla base del licenziamento risultano manifestamente infondate, il Giudice può anche ordinare al datore di lavoro la reintegra del lavoratore nel suo posto di lavoro.
  • Jobs Act: se il licenziamento per giustificato motivo oggettivo è accertato come illegittimo da parte del Giudice si prevede solo il riconoscimento al lavoratore di un indennizzo. La reintegra non sarà più possibile anche se manca il giustificato motivo oggettivo.  Nella legge di parla di “un indennizzo economico certo e crescente con l’anzianità di servizio”.

Il licenziamento disciplinare

Altra tipologia di licenziamento contemplata nell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, oggetto di riforma, è quello disciplinare. Si configura questo tipo di licenziamento quando il lavoratore tiene condotte non conformi alle norme stabilite dalla legge, dai contratti collettivi e dal codice disciplinare dell’azienda.

Sono due le ragioni che possono portare al licenziamento disciplinare:

  • giusta causa (la condotta del lavoratore fa venir meno la fiducia con il datore. Si pensi ad esempio al cassiere che ruba nel supermercato in cui lavora);
  • giustificato motivo c.d. soggettivo (la condotta del lavoratore inficia il vincolo di fiducia con il datore commettendo delle infrazioni meno gravi del primo caso. Si rinvia comunque ai contratti collettivi).
  • Riforma Fornero: le imprese che occupano nell’ambito dello stesso Comune più di 15 dipendenti  o che complessivamente hanno più di 60 dipendenti,  che licenziano senza una giusta causa o un giustificato motivo, devono pagare al lavoratore un indennizzo che va da un minimo di 12 mensilità ad un massimo di 24 mensilità dell’ultima retribuzione globale dovuta al lavoratore. Il reintegro nel posto di lavoro è possibile se al lavoratore è contestato un fatto che in realtà non sussiste (nell’esempio di poc’anzi, il ladro non è il cassiere) ovvero il fatto sussiste ma nei contratti collettivi di lavoro viene punito con sanzioni meno gravi.
  • Jobs Act: il diritto alla reintegra nel luogo di lavoro è riconosciuto solo per “specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare ingiustificato”,  rimandando ai decreti delegati la tipizzazione delle fattispecie.

Licenziamento discriminatorio: reintegro e indennizzo

Infine la legge prevede una serie di casi in cui il licenziamento è vietato. Si tratta del licenziamento discriminatorio, quello fondato su motivi politici, razzialireligiosi, di lingua, di sesso o di orientamento sessuale. Così è vietato anche il licenziamento effettuato in un periodo seguente o comunque connesso alla maternità o al matrimonio. In questi casi il licenziamento è sempre nullo e il Giudice, in seguito all’impugnazione da parte del lavoratore, condanna il datore al reintegro nel luogo di lavoro e al pagamento della retribuzione perduta di almeno 5 mensilità.

Alessandra Caparello