Il prisma delle scelte nel regime dell’IRI

L’imposta sul reddito delle imprese, in breve IRI (nuovo art. 55 bis del TUIR), è una misura che intende favorire la patrimonializzazione delle piccole imprese, individuali e societarie, assicurando, allo stesso tempo, l’uniformità del prelievo fiscale rispetto alle società di capitali. Come funziona l’IRI? Come si calcola? E qual è la sua convenienza?

La tassazione prevista per tutte le attività di impresa, a partire dal 1° gennaio, è pari al 24% a prescindere dalla loro forma giuridica. In questo modo gli utili prodotti che non vengono distribuiti ma reinvestiti all’interno dell’impresa saranno assoggettati alla nuova IRI con aliquota unica e fissa.

Imprese individuali e società di persone in contabilità ordinaria, per obbligo o per opzione, e loro consulenti si confrontano sulla scelta del nuovo regime sostitutivo dell’IRI verificandone la convenienza. È un regime applicabile anche alle srl a ristretta base proprietaria (nuovo comma 2-bis all’art. 116, TUIR) le quali possono optare per le disposizioni di cui al nuovo articolo 55-bis in alternativa alla trasparenza fiscale.

La scelta dell’IRI da parte di una società, di persone o srl trasparente, comporta l’inapplicabilità, per tutta la durata del regime in commento della trasparenza fiscale. Ciò vuol dire che l’utile rimasto in azienda non sarà imputato a ciascun socio in ragione della quota di partecipazione, dovendo scontare l’IRI al 24%. In capo al socio sarà tassato solo l’utile che questi effettivamente percepirà qualora la società deciderà di distribuirlo. Solo in questo momento l’utile concorrerà a formare il reddito complessivo IRPEF in capo al socio percettore.

Le imprese in contabilità semplificata non possono adottare il regime sostitutivo dell’IRI, se non a seguito dell’opzione per la contabilità ordinaria. Questo significa che già a partire dal 1° gennaio 2017, le imprese minori che intendono transitare al regime l’IRI dovranno tenere una contabilità ordinaria la cui scelta dovrà poi essere comunicata nel quadro VO della dichiarazione Iva 2018.

Il regime IRI, in termini pratici, suddivide il reddito conseguito in due fattispecie: il reddito d’impresa e i prelevamenti dei soci. La prima componente, che può definirsi di reddito d’impresa “puro” al netto delle somme prelevate e destinate dunque a finalità personali, è tassata al pari di ogni altra tipologia di reddito d’impresa con la medesima aliquota del 24%; la seconda è soggetta alle aliquote personali progressive.

Come disposto dal nuovo art. 55-bis c. 4 TUIR l’adozione del regime IRI:

  • è opzionale e vincola l’impresa per 5 anni;
  • è rinnovabile (anche se la norma non chiarisce se il rinnovo vale un anno oppure un ulteriore quinquennio);
  • la scelta va esercitata in Unico, con effetto dal periodo d’imposta cui è riferita la dichiarazione (per il 2017 nel modello Unico PF, SP, SC 2018).

L’accesso al regime potrà, pertanto, essere valutato anche “a posteriori” nel primo anno di applicazione, avendo comparato la tassazione ordinaria e quella opzionale, e valutando una proiezione su base quinquennale di tale situazione.

Sotto il profilo della convenienza è opportuno indagare quali sono le variabili contabili e/o fiscali da monitorare che, possono, fin da ora, influenzare la scelta. L’IRI risulta conveniente soprattutto per i soggetti che possiedono redditi aggiuntivi rispetto a quello d’impresa, in quanto l’IRI consente di limitare l’effetto cumulo in dichiarazione, nonché per i soggetti con un significativo reddito d’impresa. Man mano che i redditi si riducono, il confronto va effettuato tra l’aliquota fissa del 24%, di poco superiore a quella del primo scaglione IRPEF (23%), e l’aliquota media che si genera per i soggetti IRPEF considerando l’importo delle deduzioni e delle detrazioni che abbassano il livello dell’aliquota media.

Numerosi e complessi i parametri da monitorare per ottimizzare la scelta per il regime di tassazione:

  • l’entità dei prelevamenti di utili effettuati dall’imprenditore in corso d’anno che sono deducibili dal reddito d’impresa e ordinariamente tassabili ai fini IRPEF in capo ai percettori. I prelevamenti in conto utili, se sapientemente calibrati, potranno attenuare gli svantaggi dell’imposta sostitutiva legati alla mancata fruizione degli oneri deducibili e detraibili;
  • la modalità di gestione delle riserve contabili presenti in bilancio costituite con utili già tassati per trasparenza negli anni precedenti. La distribuzione di queste riserve per espressa riserva di legge non viene ulteriormente gravata dall’IRPEF in capo all’imprenditore e le riserve si considerano distribuite in via prioritaria rispetto alle altre successivamente formatesi per il motivo che si sono (appunto) formate cronologicamente prima;
  • la presenza di finanziamenti soci o di apporti da parte del titolare o dei collaboratori dell’impresa individuale che dovranno essere monitorati nelle loro movimentazioni finanziarie in quanto, da un punto di vista impositivo, la restituzione del finanziamento/apporto continuerà a non venire tassata, mentre in caso di prelievi in conto utili la somma sarà gravata dell’IRPEF in capo al percipiente secondo le ordinarie regole previste dal Tuir.

Ai fini previdenziali, invece, la base imponibile per il calcolo dei contributi dovuti non deve tenere conto del reddito determinato ai fini IRI, ma dell’intero imponibile conseguito dall’impresa nell’annualità di riferimento, come del resto avviene già oggi con il regime ordinario: se da un lato il reddito lasciato in azienda non concorre a formare l’imponibile IRPEF in capo all’imprenditore/socio, concorrerà, invece, a formare il suo imponibile previdenziale.

Nicolò Cipriani – Centro Studi CGN