Retribuzioni convenzionali 2018

Con il D.M. 20.12.2017 sono state pubblicate le retribuzioni convenzionali applicabili per l’anno d’imposta 2018, per i lavoratori all’estero in paesi per i quali non sono in vigore accordi o convenzioni di sicurezza sociale.

Le retribuzioni convenzionali, differenziate per categoria di appartenenza (operai, impiegati, quadri e dirigenti) e settori di attività, sono state previste dal Legislatore per permettere a quei lavoratori, fiscalmente residenti in Italia che lavorano all’estero, di possedere un reddito di riferimento al fine di calcolare i contributi dovuti sulla base delle assicurazioni obbligatorie.

Sono state pertanto introdotte al fine di tutelare il contribuente inviato in Paesi NON convenzionati con l’Italia in materia di sicurezza sociale ovvero nel caso in cui sia previsto l’obbligo di iscrizione alle assicurazioni obbligatorie.

Tali retribuzioni hanno assunto rilevanza anche in ambito fiscale, dato che devono essere applicate per la determinazione del reddito di lavoro dipendente ai sensi dell’art. 51 comma 8-bis) Tuir in caso di lavoro prestato all’estero, in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto di lavoro per quei contribuenti che nell’arco di 12 mesi (considerati anche a cavallo di anni d’imposta diversi), abbiano trascorso all’estero più di 183 giorni; applicando tali retribuzioni convenzionali, il contribuente non dovrà dichiarare il reddito estero effettivamente percepito. A tal proposito, la C.M. n. 207/2000 afferma, al paragrafo 1.5.7, che condizione necessaria affinché operi la disciplina delle retribuzioni convenzionali è la stipula di uno specifico contratto che preveda l’esecuzione della prestazione in via esclusiva all’estero e che il dipendente venga collocato in uno speciale “ruolo estero”.

La presenza dei requisiti di stipula di un preciso contratto che preveda l’esecuzione dell’attività all’estero e l’inclusione nello speciale “ruolo estero”, fa intendere che il datore di lavoro debba essere italiano; tuttavia, come indicato nelle circolari n. 50/E del 12 giugno 2002 paragrafo 18 e n. 11/E del 21 maggio 2014 paragrafo 1.5, l’applicazione delle retribuzioni convenzionali avviene anche nell’ipotesi di contribuente fiscalmente residente in Italia che lavori direttamente all’estero presso un datore di lavoro estero.

NON si applicano tali retribuzioni “[…] qualora il contribuente presti la propria attività lavorativa in uno Stato con il quale l’Italia ha stipulato un accordo per evitare le doppie imposizioni e lo stesso preveda per il reddito di lavoro dipendente la tassazione esclusivamente nel Paese estero. In questo caso la normativa della convenzione prevale sulle disposizioni fiscali interne. […]”

Non si applica nemmeno per i lavoratori in trasferta in quanto viene a mancare il requisito della continuità ed esclusività dell’attività lavorativa estera.

Per “esclusività e continuità” del rapporto si intendono rispettivamente:

  • l’unicità della prestazione in capo al contribuente, ossia deve svolgere solamente tale attività lavorativa;
  • stabilità dell’incarico, ossia non occasionalità dell’attività.

Qualora uno dei requisiti (lavoratore fiscalmente residente in Italia, esclusività e continuità dell’incarico di lavoro, soggiorno estero per più di 183 giorni nell’arco di 12 mesi) non sia verificato, ovvero, se non sia presente il settore nel quale il contribuente svolge l’attività (ad esempio, il settore “medico” non è contemplato), non si potranno applicare le retribuzioni convenzionali e la tassazione avverrà sul reddito estero effettivamente percepito.

In conclusione, tali retribuzioni convenzionali hanno la finalità di porsi come:

  • base di calcolo per i contributi dovuti per le assicurazioni obbligatorie dei lavoratori italiani operanti in paesi extra UE con i quali non sono presenti convenzioni in materia di sicurezza sociale, e
  • base di calcolo per le imposte sul reddito di lavoro dipendente derivante da lavoro prestato all’estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto da parte di lavoratori che nell’arco di 12 mesi abbiano trascorso all’estero più di 183 giorni.

Marco Beacco – Centro Studi CGN