Effetti del regime forfetario sull’economia e sul mercato

A poche settimane dell’entrata in vigore delle nuove regole sul regime forfettario che ha aumentato la platea dei soggetti potenzialmente interessati, sulla base della mia esperienza professionale con i contribuenti forfettari, vorrei proporre in questo articolo alcune brevi riflessioni su quali effetti può produrre il regime forfettario sul mercato e sull’economia. Conviene essere contribuenti forfettari o no?

La prima riflessione riguarda il problema relativo all’IVA. I contribuenti in regime forfettario non applicano l’IVA sulle cessioni di beni e sulle prestazioni di servizi erogati, in quanto il regime forfettario non prevede l’applicazione dell’imposta sul valore aggiunto. Di conseguenza, i contribuenti in regime forfettario possono praticare prezzi più vantaggiosi sul mercato nei confronti dei propri clienti privati e pubblici.

Nel caso di clienti privati, potrebbe crearsi concorrenza sleale tra soggetti in regime forfettario e soggetti in regime ordinario a causa del fatto che il contribuente forfettario può fatturare i propri servizi senza l’applicazione dell’IVA, mentre il contribuente ordinario fatturerà agli stessi clienti lo stesso servizio con l’aggiunta dell’IVA a titolo di rivalsa.

Nel caso di clienti pubblici, i bandi e le gare ad invito rivolte ai professionisti, ad esempio, potrebbero addirittura prevedere la verifica preliminare del regime contributivo del contribuente, con il concreto rischio di escludere i professionisti in regime di tassazione ordinario.

A dire il vero, questo effetto non è causato dalla recente novità legislativa ma è una caratteristica che contraddistingue da sempre il regime forfettario. L’aumento della soglia di ricavi da 30 mila a 65 mila però ne aumenta gli effetti, rendendo più evidente il divario tra contribuenti ordinari e forfettari.

Un altro problema che si pone è quello che il regime forfettario potrebbe favorire il “nero”, arrecando un danno per l’erario e indirettamente per la collettività. Il regime forfettario, infatti, non prevede la deducibilità dei costi sostenuti dal contribuente nell’ambito della propria attività.

Il regime forfettario prevede che il reddito imponibile del contribuente venga calcolato applicando ai ricavi realizzati nell’esercizio un coefficiente di redditività che varia a seconda dell’attività esercitata: attività professionali (78%), attività commerciali all’ingrosso (40%), intermediari del commercio (62%), servizi di alloggio e ristorazione (40%), e così via.

Dal reddito imponibile potranno essere dedotti i contributi previdenziali obbligatori versati ottenendo così la base di calcolo su cui calcolare l’imposta sostitutiva di IRPEF, IRAP e IVA dovuta, applicando l’aliquota forfettaria del 15%.

E così, ad esempio, un ingegnere in regime forfettario che acquista prodotti di consumo per il suo ufficio non avrebbe nessun interesse a farsi rilasciare la fattura dal commerciante per poter dedurre il costo sostenuto in contabilità.

E come se non bastasse, per non superare la soglia di permanenza dei 65 mila euro, i contribuenti interessati a entrare o restare nel regime forfettario potrebbero occultare o sottofatturare i ricavi o i compensi della propria attività.

Inoltre, il regime forfettario potrebbe convenire a determinati ex lavoratori dipendenti, che potrebbero trovare conveniente aprire una partita IVA e continuare a lavorare con i precedenti datori di lavoro, mascherando il rapporto di lavoro e ottenendo un beneficio fiscale non indifferente.

Con il regime forfettario, molti datori di lavoro potrebbero indurre i propri ex dipendenti a ricorrere all’apertura di false partite IVA al fine di sottrarsi all’assunzione dei lavoratori con contratti di lavoro che risulterebbero molto onerosi e gravosi.

Da quest’anno poi, con il regime forfettario, scompaiono i limiti per i pensionati e così, anche un pensionato che percepisce una pensione abbastanza cospicua potrà aprire la sua partita IVA in regime forfettario e fatturare fino a 65 mila euro traendo un enorme beneficio fiscale per la tassazione del proprio reddito. Inoltre, molte aziende, a parità di costo, potrebbero trovare convenienza ad intrattenere collaborazioni con soggetti (pensionati) già formati e preparati professionalmente piuttosto che favorire i giovani.

Antonino Salvaggio – Centro Studi CGN

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