Gli affitti non riscossi non sono tassabili anche senza convalida dello sfratto

Uno dei problemi più comuni che attanagliano una buona parte dei contribuenti italiani è quello del pagamento delle tasse sugli affitti non riscossi. Eppure una recente sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio si è espressa in favore del contribuente.

In particolare, secondo i giudici della C.T.R. del Lazio, i redditi da locazione che non sono stati riscossi non sono tassabili anche in assenza di convalida di sfratto. Le disposizioni dell’articolo 26 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi, dispongono la non tassabilità dei soli canoni di locazione di immobili a uso abitativo non riscossi dal locatore, per i quali sia conclusa la convalida dello sfratto.

L’articolo 26 del T.U.I.R. stabilisce infatti che i redditi derivanti da affitti di immobili ad uso abitativo, se non percepiti, non concorrono a formare il reddito del locatore dal momento della conclusione del processo di convalida dello sfratto per morosità del conduttore dell’immobile.

In buona sostanza, per questi redditi, le norme fiscali prevedono la tassazione secondo il principio di competenza e non secondo il principio di cassa, anche se per evitare distorsioni è prevista l’applicazione di un credito di imposta.

A tale principio, si era adeguata l’Agenzia delle Entrate di Roma che, con un avviso di accertamento, richiedeva ad un contribuente il pagamento delle maggiori imposte in dipendenza dei redditi di locazione non percepiti dallo stesso.

Il contribuente propone ricorso ed ottiene in primo grado il pieno accoglimento dello stesso e l’annullamento della pretesa erariale. L’ufficio, però, non ci sta e propone appello replicando che la procedura, nonostante attesti la morosità della parte conduttrice, non si era conclusa con la convalida dello sfratto, ragion per cui, i redditi andavano inseriti in dichiarazione dei redditi.

La Commissione di secondo grado, con la sentenza n. 549 dell’8 febbraio 2019, confermava la decisione dei giudici di primo grado, stabilendo che le disposizioni del suddetto articolo 26 del T.U.I.R. vanno interpretate secondo la ratio della norma che intende escludere dal reddito i canoni di locazione non effettivamente percepiti dal locatore e non secondo l’interpretazione letterale.

In altre occasioni, la giurisprudenza si era già espressa sull’argomento. In particolare, la sentenza n. 326/2000 della Corte Costituzionale stabilisce che i canoni di locazione devono essere tassati, a prescindere dalla loro percezione, fino a quando risulta in vigore un contratto di locazione tra le parti.

In pratica, solo se la locazione è cessata oppure si è verificata una causa di risoluzione contrattuale (per inadempimento in presenza di una clausola risolutiva espressa o di risoluzione a seguito di diffida ad adempiere, solo per citare qualche esempio) la tassazione della locazione può essere evitata.

La mancata percezione del reddito locativo, a causa della morosità del conduttore, non ne impedisce l’assoggettamento alle imposte sui redditi fintanto che non sia pervenuta la risoluzione del contratto di locazione.

Il principio appena esaminato è stato più volte confermato dalla Corte di Cassazione. Per ulteriori approfondimenti vedi le sentenze n. 651 del 18 gennaio 2012, n. 11158 del 10 maggio 2013 e n. 22588 dell’11 dicembre 2012.

Ricordiamo invece che l’articolo 3-quinquies del D.L. 34/2019 (decreto crescita) prevede per i contratti di locazione di immobili abitativi sottoscritti a partire dal prossimo 1° gennaio 2020 che i canoni di locazione non incassati dal locatore potranno non essere assoggettati a tassazione in capo al locatore stesso già a partire dal momento dell’intimazione dello sfratto per morosità o dell’ingiunzione di pagamento.

Antonino Salvaggio – Centro Studi CGN

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