Professionista infedele: contribuente colpevole se non vigila

Il contribuente che viene a trovarsi nella spiacevole situazione di una contestazione da parte dell’Amministrazione Finanziaria, per esempio per la mancata presentazione della dichiarazione dei redditi o per mancata tenuta delle scritture obbligatorie, può doverlo, talvolta, all’inadempimento del professionista al quale ha conferito l’incarico.

In questo articolo analizziamo dunque le situazioni in cui il contribuente è comunque obbligato ad adempiere sotto il profilo sanzionatorio nonostante si fosse affidato al professionista di fiducia.

Sul piano delle responsabilità devono essere inizialmente tenuti in considerazione almeno due aspetti:

  • da un lato, il professionista che si vede conferito un incarico professionale: costui, legato contrattualmente al contribuente, dovrà operare in nome e per conto di quest’ultimo per rispettare i doveri e gli obblighi previsti dal ruolo e dalla professione coperta;
  • per altro verso, anche allo stesso contribuente, che ha conferito l’incarico, sono attribuite condotte che rilevano proprio dal punto di vista sanzionatorio nei confronti di un eventuale procedimento tributario scaturito dall’operato infedele del professionista, potendosi imputare negligenza anche nei suoi confronti. Vediamo come.

A configurarsi in questi casi, ai danni del contribuente, è la colpa. Lo indica la Corte di Cassazione nell’ordinanza 5661 depositata il 2 marzo 2020. Il comportamento contestabile al soggetto è rilevabile nella mancata vigilanza dell’operato del professionista. La Cassazione ha infatti confermato la linea interpretativa fornita già nel 2010 (Cass. 12473/2010) ai sensi dell’art. 5 del D.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, secondo cui l’addebito del comportamento posto in essere in seguito alla violazione di norme tributarie suscettibili di sanzioni, può configurarsi non solo attraverso il dolo, ma anche con colpa.

Pertanto, continua la Corte, il contribuente nel caso in esame non può considerarsi esentato da ogni responsabilità solo per il fatto di aver delegato al professionista, tramite conferimento di incarico, gli adempimenti a lui ascrivibili. Per poter escludere ogni profilo di negligenza e quindi non dover versare alcuna sanzione, il contribuente ha il dovere altresì di dimostrare “di avere svolto atti diretti a controllare la loro effettiva esecuzione, prova nel concreto superabile soltanto a fronte di un comportamento fraudolento del professionista, finalizzato a mascherare il proprio inadempimento”.

In ambito sanzionatorio, nel particolare campo costituito dalle violazioni di norme attinenti al diritto tributario, vengono ad essere applicate le regole generali del diritto amministrativo relativamente all’illecito. Per tali ragioni l’onere della prova, per liberarsi dalla contestazione di condotta colposa, grava in toto sull’opponente (il contribuente), che dovrà essere in grado di dimostrare di aver controllato l’effettiva esecuzione degli adempimenti posti a carico del professionista, comprovando che lo stesso abbia mascherato l’inadempimento attraverso una condotta fraudolenta. Qualora tuttavia così non fosse oppure non fosse possibile provarlo, il contribuente sarà chiamato a rispondere direttamente per le condotte omissive quali, ad esempio, la mancata presentazione della dichiarazione dei redditi dovendo di conseguenza versare le relative sanzioni.

Da segnalare che la denuncia effettuata dalla società nei confronti del proprio professionista non assolve la dimostrazione della mancanza di colpa. Nel caso preso in esame dalla richiamata ordinanza del 2 marzo 2020, l’Agenzia delle entrate ha proceduto con ricorso in Cassazione avverso sentenza della Commissione tributaria della Regione Lombardia. La società contribuente si era vista parzialmente accogliere in appello la propria difesa basandosi anche sulla querela presentata nei confronti del professionista incaricato. La Cassazione tuttavia ha respinto le motivazioni presentate in appello accogliendo le ragioni dell’Amministrazione Finanziaria, facendo richiamo alle norme già viste (art. 5 D.lgs. 472 del 1997) relativamente agli oneri di sorveglianza addebitabili al contribuente che configurano la colpevolezza dello stesso, in combinato disposto con la norma relativa alle cause di non punibilità richiamata nello stesso D.lgs. all’articolo 6, terzo comma: “Il contribuente, il sostituto e il responsabile d’imposta non sono punibili quando dimostrano che il pagamento del tributo non è stato eseguito per fatto denunciato all’autorità giudiziaria e addebitabile esclusivamente a terzi”. Il fatto denunciato, se non diversamente provato, è infatti imputabile alla mancata vigilanza del contribuente, pertanto non a terzi. Nel caso di specie la querela era inoltre stata avanzata con diversi anni di ritardo rispetto alle annualità fiscali contestate dall’Agenzia delle entrate.

Michele Barba – Centro Studi CGN