Aliquota IVA al 10% per l’asporto

Tra le misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da Covid-19 è stato disposto il divieto di consumare cibi e bevande nei luoghi pubblici e aperti al pubblico. È stata invece consentita la ristorazione con consegna a domicilio nel rispetto delle norme igienico-sanitarie sia per le attività di confezionamento che di trasporto, nonché la ristorazione con asporto.

Molti imprenditori del settore della ristorazione hanno così affiancato alla loro tradizionale attività di vendita di cibi e bevande, la modalità di consegna a domicilio e consentito l’asporto. Ma quale aliquota IVA applicare all’asporto?

Dal punto di vista fiscale, infatti, la somministrazione è considerata un servizio, dal momento che è caratterizzata dalla cessione di alimenti e dalla possibilità di usufruire del servizio di consumo nel luogo in cui è avvenuta la cessione. E ai sensi del n.121) della tabella A parte III del D.P.R. 633/72 (legge IVA), la somministrazione di alimenti e bevande è assoggettata ad aliquota IVA del 10%.

Le restrizioni imposte per fronteggiare l’emergenza Covid-19, però, hanno vietato la possibilità di consumazione nei bar e nei ristoranti. La conseguenza di ciò è che i ristoratori, per non fermare la loro attività, hanno dovuto implementare i servizi di delivery e asporto.

Per il fisco, però, non si è più in presenza di somministrazione di alimenti e bevande, ma di vera e propria cessione di beni (vedi anche il principio di diritto n. 9 del 22 febbraio 2019 dell’Agenzia delle Entrate, che ha proprio ad oggetto l’aliquota IVA applicabile alla cessione e alla somministrazione di alimenti e bevande).

Applicando le norme attualmente in vigore, alla cessione di alimenti e bevande deve applicarsi l’aliquota IVA applicabile allo specifico bene ceduto, avendo cura di differenziare le aliquote in base ai prodotti.

Se questo comportamento poteva andar bene in tempi “normali”, oggi con l’emergenza epidemiologica in corso che sta mettendo a dura prova tutto il comparto della ristorazione, non va più bene. Il differente “regime” IVA che si applica va a gravare in maniera significativa sui ristoratori che sono impossibilitati ad effettuare il servizio di somministrazione.

E così, da più parti, è partita la richiesta di considerare la vendita da asporto e la consegna a domicilio come modalità integrative, mediante le quali i titolari degli esercizi di ristorazione possano svolgere la loro attività anche se dotati di locali, strutture, personale e competenze astrattamente caratterizzanti lo svolgimento dell’attività di somministrazione abitualmente svolta dagli stessi.

La Legge di Bilancio 2021 è così intervenuta, allineando le aliquote IVA dell’asporto e della consegna a domicilio a quelli della somministrazione di alimenti e bevande. La legge n. 178 del 30 dicembre 2020 (legge di Bilancio 2021), all’articolo 1 comma 40, assoggetta ad aliquota IVA del 10% le cessioni di piatti pronti e di pasti che siano stati preparati in vista del loro consumo immediato, della loro consegna a domicilio o dell’asporto.

Ma attenzione!!! Non tutto quello che viene consegnato a domicilio sconta l’aliquota al 10%. Per l’applicazione dell’aliquota al 10%, la norma fa riferimento alle cessioni di piatti pronti e di pasti che siano stati cotti, arrostiti, fritti o altrimenti preparati in vista del loro consumo immediato. Va da sé che, per le bevande o altri beni che non presentano le caratteristiche indicate, dovranno essere applicate le aliquote ordinarie.

A puro titolo esemplificativo, in caso di asporto di un primo piatto (preparato dal ristoratore) e di una bevanda, il primo prodotto sconterà l’aliquota ridotta al 10%, il secondo prodotto sconterà l’aliquota ordinaria al 22%.

La nuova norma ha valore retroattivo e va a sanare anche i casi di chi, in passato, ha ritenuto di applicare l’aliquota ridotta al 10% sui preparati alimentari in asporto o con consegna a domicilio.

Antonino Salvaggio – Centro Studi CGN

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