Tenuta e conservazione dei registri fiscali sotto il rigore del fisco

Con la risposta all’interpello 236 del 9 aprile 2021, l’Agenzia delle Entrate ha interpretato in modo restrittivo le norme riguardanti la tenuta e la conservazione delle scritture e dei registri contabili (libro giornale, libro degli inventari, scritture ausiliarie di magazzino, registro dei beni ammortizzabili, registri Iva), negando di fatto il processo di semplificazione degli adempimenti.

Esaminiamo i contorni della vicenda e le conseguenze operative, iniziando dal processo normativo e regolamentare che governa la materia in oggetto:

  1. Con l’avvento dei sistemi meccanografici l’ 7, comma 4 ter del DL. 357/1994 statuisce che: “a tutti gli effetti di legge, la tenuta di qualsiasi registro contabile con sistemi meccanografici è considerata regolare in difetto di trascrizione su supporti cartacei, nei termini di legge, dei dati relativi all’esercizio per il quale non siano scaduti i termini di presentazione delle relative dichiarazioni annuali, allorquando anche in sede di controlli ed ispezioni gli stessi risultino aggiornati sugli appositi supporti magnetici e vangano stampati contestualmente alla richiesta avanzata dagli organi competenti ed in loro presenza”.
  2. L’ 1 comma 161 della L. 244/2007, con decorrenza 1/1/2008, ha prolungato la data ultima del processo portandolo fino al terzo mese successivo del termine previsto per la presentazione delle dichiarazioni annuali.
  3. L’intervento regolamentare di cui al DM del 17 giugno 2014 ha stabilito in materia di conservazione su supporti informatici che “il processo di conservazione di cui ai commi precedenti è effettuato entro il termine previsto dall’art. 7, comma 4-ter, del decreto-legge 10 giugno 1994, n. 357, convertito con modificazioni dalla legge 4 agosto1994, n 489” (vale a dire terzo mese successivo al termine di presentazione dichiarazioni fiscali).
  4. In un’ottica di semplificazione, è stata introdotta la novità di cui al comma 4-quater dell’art. 7 del DL 357/94, (introdotto dall’art. 19-octies, comma 6 del DL 148/2017), che ha disposto che “in deroga a quanto previsto dal comma 4-ter, la tenuta dei registri di cui agli articoli 23 e 25 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, con sistemi elettronici è, in ogni caso, considerata regolare in difetto di trascrizione su supporti cartacei nei termini, se in sede di accesso, ispezione o verifica gli stessi risultano aggiornati sui predetti sistemi elettronici e vengono stampati a seguito della richiesta avanzata dagli organi procedenti ed in loro presenza”.
  5. L’ultimo passaggio riguarda l’estensione dell’oggetto che è stato esteso a qualsiasi “tenuta di qualsiasi registro contabile con sistemi elettronici su qualsiasi supporto” in seguito all’introduzione dell’ 2-octies, comma 1, del DL 34/2019, che ha modificato il comma 4-quater dell’art. 7 del DL 357/94.

L’impresa interpellante ha chiesto la conformità delle modalità operative alle norme in materia nel senso di formare con il proprio software contabile e conservare nei propri archivi elettronici (già messi a disposizione dal proprio software di gestione dei processi aziendali) i libri ed i registri senza effettuare la conservazione sostitutiva e quindi senza apporre la marcatura temporale e la firma digitale assicurando che in sede di controlli ed ispezioni, tali libri e registri venissero stampati contestualmente ed in presenza dei verificatori competenti.

I tecnici del fisco non condividono le modalità operative del contribuente. Con riferimento alla conservazione dei libri e registri non materializzati su carta, le Entrate evidenziano che la tenuta e la conservazione dei documenti restano concetti ed adempimenti distinti, seppure posti in continuità (si vedano, in questo senso, anche l’articolo 39 D.P.R. 633/1972 e l’articolo 22 D.P.R. 600/1973).

Pertanto, nel rispetto della legislazione vigente, i documenti fiscalmente rilevanti tenuti in formato elettronico:

a) ai fini della loro regolarità, non vanno obbligatoriamente stampati sino al terzo (o sesto per il solo 2019) mese successivo al termine di presentazione della relativa dichiarazione dei redditi, salva apposita richiesta in tal senso da parte degli organi di controllo in sede di accesso, ispezione o verifica;

b) entro tale momento (terzo/sesto mese successivo al termine di presentazione della dichiarazione dei redditi) vanno comunque posti in conservazione sostitutiva nel rispetto del citato D.M. 17.06.2014 e, quindi, anche del codice dell’amministrazione digitale (D.Lgs.82/2005) e dei relativi provvedimenti attuativi ai quali lo stesso D.M. rinvia – laddove il contribuente voglia mantenerli in formato elettronico, ovvero materializzati (stampati) in caso contrario.

In pratica, l’Agenzia delle Entrate ha ritenuto che la norma richiamata dal contribuente debba essere interpretata come possibilità di rinvio della stampa solo sino al termine di scadenza per effettuare la conservazione “a norma”. Oltre tale termine, i documenti possono avere solo formato analogico, vale a dire materializzati mediante stampa tradizionale, oppure digitale, con l’assoggettamento alle norme in materia che prevedono firma digitale e marca temporale. L’Agenzia poggia il suo convincimento sulla vigenza del DM 17 giugno 2014 in materia di conservazione a norma, senza considerare le semplificazioni portate dal citato comma 4-quater dell’articolo 7 avvenute successivamente al decreto regolamentare che dovrebbe considerarsi derogato da una norma di legge successiva.

Come è stato ampiamente sostenuto da più autori, la tesi dell’Agenzia delle Entrate renderebbe inutili le norme semplificatrici di cui all’articolo 7, commi 4-ter e 4-quater del D.L. 357/1994. Alla luce del processo normativo di semplificazione nonché della prassi operativa più volte riscontrata, sarebbe auspicabile che trovasse spazio l’interpretazione che, in presenza di pronta esibizione dei dati avanzata dagli organi verificatori, in assenza di prescrizioni specifiche, non dovrebbero esistere vincoli di forma, anche in ossequio ai più elementari canoni di civiltà giuridica.

Nicolò Cipriani – Centro Studi CGN