Concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio

Un’ulteriore novità particolarmente significativa in materia di crisi d’impresa è rappresentata dall’art. 18 del D.L. 118/2021, che introduce una nuova procedura concorsuale denominata “Concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio”.

La proposta di concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio può essere presentata dall’imprenditore quando:

  1. dalla relazione finale dell’esperto, nominato nell’ambito della procedura di composizione negoziata della crisi d’impresa, emerga che le trattative non hanno avuto esito positivo;
  2. le soluzioni di cui all’art. 11 del decreto 118/2021 (conclusione delle trattative) non siano praticabili.

Risulta del tutto evidente che questa nuova forma di concordato rappresenti l’epilogo giudiziale di una procedura di composizione negoziale non andata a buon fine. In altri termini, l’impresa ha la possibilità di accedere al concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio, quando non ha potuto imboccare la strada del risanamento nonostante l’intervento dell’esperto.

A questo punto, la nuova procedura concorsuale prevede l’intervento del Tribunale, il quale dovrà:

  1. valutare la proposta dell’imprenditore, nonché la proposta relativa al presupposto originario della risanabilità, non andata a buon fine;
  2. acquisire la relazione finale redatta dall’esperto nell’ambito della procedura di composizione negoziale per la soluzione della crisi;
  3. chiedere all’esperto un ulteriore parere sui presumibili risultati della liquidazione e sulle garanzie offerte.

La norma non precisa se il Tribunale, al di là delle valutazioni formali, possa considerare irrealistica la proposta dell’imprenditore e, di conseguenza, non ammettere la procedura. La mancanza di una tale previsione normativa, legittima a ritenere che il Tribunale, riscontrata la regolarità formale della proposta ed il parere favorevole dell’esperto, debba dar corso alla procedura, nominando l’ausiliario e fissando la data di udienza per l’omologa.

La figura dell’ausiliario

La circostanza che il legislatore abbia individuato la figura dell’ausiliario, anziché quella del commissario, evidenzia l’intento di scongiurare a priori la duplicazione dei centri decisionali, riconducendo l’intera procedura in capo al Tribunale che si farà assistere dall’ausiliario.

L’ausiliario, nel suo ruolo di Pubblico Ufficiale, è tenuto a rendere un parere sulla liquidazione che andrà comunicata, a cura del debitore, ai creditori risultanti dall’elenco che quest’ultimo abbia allegato all’istanza di nomina dell’esperto ai sensi dell’art. 5, comma 3, lett. c) del decreto 118/2021. Va da sé che l’ausiliario non è chiamato a redigere una vera e propria relazione, che dilaterebbe in modo ingiustificato le tempistiche della procedura.

Secondo il tenore dell’art.18, l’ausiliario non è chiamato a redigere l’inventario del patrimonio del debitore né a svolgere delle verifiche in merito alle cause del dissesto dell’impresa, in quanto tali informazioni dovrebbero essere già contenute nella relazione dell’esperto.

Di conseguenza, è presumibile ritenere che il parere dell’ausiliario contenga un giudizio inerente:

  1. la fattibilità del piano di liquidazione;
  2. l’opportunità per il ceto creditorio della soluzione concordataria in luogo della liquidazione giudiziale;
  3. il rispetto delle cause di prelazione.

Tali aspetti dovranno essere oggetto di valutazione da parte del giudice dell’omologa in sede di decisione.

In merito alla posizione dei creditori, questa viene tutelata attraverso la loro facoltà di opposizione all’omologazione del concordato, che potrà essere esercitata dopo aver acquisito informazioni idonee a valutare la proposta. I creditori potranno anche presentare reclamo al decreto di omologazione, ma non viene riconosciuto loro alcun potere di voto. Ricordiamo che il giudizio di omologa verte sulla fattibilità del piano di liquidazione e sulla circostanza che la proposta non arrechi pregiudizio ai creditori rispetto all’alternativa della liquidazione fallimentare.

Con il decreto di omologazione il Tribunale nomina un liquidatore giudiziale che presiede alle operazioni di liquidazione.

Il 2° comma dell’art. 19 del decreto prevede che qualora il piano di liquidazione comprenda un’offerta da parte di un soggetto individuato per il trasferimento a suo favore dell’azienda, di un suo ramo o di specifici beni, il liquidatore giudiziale deve verificare l’esistenza sul mercato di soluzioni migliori. Nel caso in cui tale verifica dovesse avere esito negativo, il liquidatore giudiziale darà esecuzione alla vendita. Si aggiunga che il 3° comma prevede che, nella diversa ipotesi in cui l’offerta dovesse scadere prima dell’omologazione, sarà compito dell’ausiliario sondare il mercato e dare esecuzione alla vendita.

La formulazione di queste ultime due disposizioni pone in evidenza l’intento del legislatore di prevedere una procedura particolarmente celere volta a salvare quel che resta dell’impresa che non è stato possibile avviare al risanamento attraverso la composizione negoziale.

Questa nuova tipologia di concordato riguarda, come è ovvio, anche i creditori pubblici (Agenzia delle Entrate ed enti previdenziali), la cui posizione è pienamente assimilata a quella dei creditori privati. Anche nei confronti dei creditori pubblici, il giudice dell’omologa dovrà il trattamento migliorativo rispetto alla liquidazione giudiziale. Alla stregua di quelli privati, i creditori pubblici potranno tutelare la loro posizione mediante l’opposizione all’omologa.

Enrico Cusin – Centro Studi CGN