Illegittima la sentenza con motivazione solo apparente

La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 23416 del 24.08.2021, ha chiarito quali sono gli aspetti motivazionali che la sentenza deve contenere per non essere considerata solo “apparente” e comunque illegittima.

Nella specie, la società contribuente aveva impugnato la cartella con cui le era stato intimato il pagamento di 248.634,00 euro, oltre sanzioni ed interessi per IRAP 2006-2007 non versata.

La Commissione Tributaria Provinciale rigettava il ricorso della società, con sentenza poi confermata dalla Commissione Tributaria Regionale.

Avverso tale decisione la società proponeva infine ricorso per cassazione, deducendo, per quanto di interesse, la nullità della sentenza per essere la motivazione caratterizzata dalla totale carenza di un coerente ed autonomo iter logico ed espositivo, non avendo i giudici di appello tenuto conto delle allegazioni difensive, degli elementi di prova e dei motivi di appello proposti dalla contribuente ed esaurendosi la stessa motivazione in una acritica adesione al decisum dei giudici di primo grado.

Aggiungeva inoltre la ricorrente che il giudice, nella discrezionalità che contraddistingue l’iter relativo alla formazione del proprio convincimento, ben può condividere il risultato e le valutazioni dei fatti operati da altro organo giurisdizionale, al fine di utilizzarli per la propria decisione, laddove però il limite interno a tale discrezionalità è costituito dall’obbligo di motivare compiutamente la propria decisione.

Secondo la Suprema Corte la censura era fondata.

Evidenziano i giudici di legittimità che la motivazione è solo apparente e la sentenza è nulla, quando, benché graficamente esistente, non renda tuttavia percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni oggettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento.

Rileva dunque la Corte che la motivazione per relationem alla pronuncia di primo grado è sì teoricamente valida, a condizione però che i contenuti richiamati siano fatti oggetto di autonoma valutazione critica e le ragioni della decisione risultino in modo chiaro, univoco ed esaustivo, essendo il giudice d’appello comunque tenuto ad esplicitare le ragioni della conferma della pronuncia con riguardo agli specifici motivi avanzati in sede di impugnazione.

Nel caso di specie, invece, la Commissione Tributaria Regionale, con una scarna affermazione di poche righe, si era limitata a richiamare le statuizioni contenute nella sentenza di primo grado, senza tuttavia esplicitare, neppure con motivazione sintetica, il ragionamento logico giuridico che l’aveva condotta a respingere le ragioni della contribuente.

Né, rileva ancora la Cassazione, poteva essere lasciato all’occasionale arbitrio dell’interprete il compito di integrare la sentenza, in via congetturale, con le più varie, ipotetiche, argomentazioni motivazionali.

In conclusione ed a prescindere dallo specifico caso processuale, in termini generali, la motivazione della sentenza deve articolarsi in una sequenza di passaggi logici, che possono schematicamente scomporsi:

  • nella ricognizione dei fatti rilevanti in ordine alla questione in diritto controversa, che vengono in tal modo a definire il “thema probandum“;
  • nella individuazione, tra quelli ritualmente acquisiti al giudizio, degli elementi probatori dimostrativi dei predetti fatti e nella selezione di quelli ritenuti decisivi per la formazione del convincimento del Giudice;
  • nella indicazione delle ragioni per cui alla fattispecie concreta, come rilevata in base ai fatti provati, debbono essere ricollegati determinati e non altri effetti giuridici.

Giovambattista Palumbo