Quale trattamento fiscale per l’attività di mining di criptovalute?

Per il fisco, l’attività di mining di criptovalute è fuori dal campo di applicazione dell’IVA mentre ai fini delle imposte dirette, la relativa remunerazione concorre alla formazione del reddito imponibile, nel periodo d’imposta in cui i servizi resi possono considerarsi ultimati, ai sensi del comma 2 dell’articolo 109 del T.U.I.R.

L’Agenzia delle Entrate, con la risposta n. 515 pubblicata lo scorso 17 ottobre 2022, chiarisce il trattamento fiscale (sia ai fini IVA che ai fini delle imposte dirette) dell’attività di mining di criptovalute. Ma andiamo per gradi. Cos’è il mining di criptovalute?

Il mining di criptovalute è un processo di natura digitale che sfrutta la potenza di calcolo di un computer o di particolari hardware (mining rig, ASIC, antminer) finalizzato a estrarre nuove “coin” attraverso la validazione delle transazioni nell’ambito della tecnologia blockchain.

Il miner è un soggetto che mette la sua potenza di calcolo a disposizione del cosiddetto mining pool o della piattaforma o network per l’estrazione di una criptovaluta, e registra le transazioni in un blocco per poi trasferirlo nella blockchain.

A fronte di questa attività, il miner viene ricompensato dal sistema che si autogestisce tramite l’assegnazione di criptovalute e solo quando “per prima” il miner ottiene la convalida di un blocco (fattispecie che non sempre si verifica).

Sull’argomento, ad oggi non esiste una specifica disciplina fiscale, sia a livello nazionale che a livello europeo, ma è fuor di dubbio che queste nuove tematiche suscitano l’interesse generale delle persone. Di seguito, ecco il parere dell’Agenzia delle Entrate che, ricordiamo, resta sempre circoscritto unicamente alla fattispecie dichiarata dall’istante nell’interpello.

Per quanto concerne il trattamento ai fini IVA, l’impossibilità di individuare l’esistenza di un servizio personalizzato prestato dalla società (miner) a beneficio di uno specifico destinatario del servizio, consente di ritenere il mining non rilevante ai fini IVA.

In buona sostanza, in questo caso, la società (istante) che svolge l’attività di miner non deve riscuotere l’imposta a fronte delle criptovalute ricevute dal network né tantomeno esercitare il diritto alla detrazione.

Con riferimento agli obblighi IVA, nella risposta fornita l’Agenzia delle Entrate chiarisce che la società non è tenuta agli obblighi documentali, dichiarativi e di versamento richiesti dalla disciplina IVA su tali operazioni.

L’orientamento dell’Agenzia delle Entrate in tema di imposta sul valore aggiunto è coerente con quello degli altri Stati europei, che trattano le transazioni legate alle valute virtuali come esenti oppure escluse dal campo di applicazione dell’IVA.

Per quanto riguarda invece il trattamento ai fini delle imposte dirette, a prescindere dai rapporti con i componenti della struttura che viene descritta nell’istanza di interpello, la relativa remunerazione concorre alla formazione del reddito imponibile, nel periodo d’imposta in cui gli stessi servizi possono considerarsi ultimati, ai sensi del comma 2 dell’articolo 109 del T.U.I.R.

In relazione alla valutazione delle coin (monete virtuali) detenute al termine di ciascun periodo d’imposta, si considera realizzata la differenza tra il valore fiscale iniziale e quello rilevato alla data di chiusura di ciascun periodo d’imposta, in applicazione di quanto disposto dall’articolo 110 del T.U.I.R.

Per quanto riguarda il trattamento ai fini IRAP, le remunerazioni del miner concorrono alla formazione del valore della produzione netto, rappresentando di per sé ricavi per prestazioni di servizi ascrivibili all’attività caratteristica dell’impresa.

Le oscillazioni di valore della criptovaluta, invece, non sarebbero incluse nella base imponibile dell’IRAP, solo nella misura in cui non transitano da voci rilevate ai fini IRAP ovvero in assenza dei presupposti per l’applicazione del principio di correlazione.

Antonino Salvaggio – Centro Studi CGN

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