Regime forfettario 2023: cosa succede se si emette erroneamente fattura con addebito dell’Iva?

Le modifiche recentemente apportate ai requisiti di accesso e permanenza al regime forfettario hanno generato non pochi dubbi tra i contribuenti. In questo articolo affrontiamo il caso particolare dei soggetti in regime forfettario che hanno emesso fatture con applicazione dell’Iva e/o della ritenuta d’acconto Irpef.

La Legge di bilancio 2023 ha innalzato il limite dei ricavi o compensi che consente alle persone fisiche che esercitano attività di impresa, arti e professioni, di restare nel regime forfettario.

Tale limite è stato innalzato dagli originari 65.000 euro (stabiliti dal comma 54 della Legge n. 190/2014) a 85.000 euro. Ma attenzione, i soggetti che fattureranno ricavi o compensi superiori al tetto massimo rischiano di fuoriuscire dal regime durante l’anno in corso. Infatti, nel caso fatturino 100.001 euro di ricavi o compensi entreranno nel regime ordinario Irpef dal 2023 stesso. Nessun problema invece per chi supera gli 85.000 euro ma rimane al di sotto dei 100.000 euro di ricavi o compensi: potrà infatti chiudere l’annualità serenamente con il regime agevolato e iniziare con il regime ordinario Irpef dal 1° gennaio 2024.

A inizio anno, dato il clima di indecisione circa il perimetro di applicabilità della nuova norma, molti contribuenti hanno emesso fatture con applicazione dell’Iva e/o della ritenuta d’acconto Irpef, salvo poi tornare indietro sui propri passi scegliendo di applicare il regime forfettario. In questi casi che si fa? È da considerarsi un “comportamento concludente tenuto dal contribuente” irreversibile oppure ci sono i margini per poter correggere il tiro con effetto retroattivo?

Nel caso dell’Iva, il soggetto che emette fattura applicando erroneamente l’Iva durante il regime forfettario non sta attuando un comportamento concludente irreversibile; può quindi correggere l’errore emettendo una nota di variazione prima che scada il termine per la teorica liquidazione periodica Iva che si sarebbe dovuta fare nel caso in cui il contribuente non avesse aderito al regime forfettario. Ovviamente a patto che non sia stato esercitato il diritto alla detrazione dell’imposta in sede di liquidazione periodica.

Probabilmente più spinoso è il caso del professionista che assoggetta erroneamente a ritenuta d’acconto un compenso pur essendo in regime forfettario. Ma si ritiene che sia risolvibile anche questo secondo caso.

Si supponga che un professionista in regime ordinario Irpef abbia emesso fattura nel 2022 applicando correttamente la ritenuta d’acconto e che tale compenso venga poi pagato nel 2023, anno in cui il professionista è entrato nel regime forfettario. Se al cessionario pagatore (sostituto d’imposta) viene comunicato per tempo di non applicare la ritenuta il problema si chiude con successo.

Qualora la ritenuta sia comunque effettuata dal sostituto d’imposta “distratto” rimane la possibilità residuale di scomputare quanto trattenuto in sede di dichiarazione dei redditi PF indicando l’importo nel rigo RS40 oppure di inviare istanza di rimborso all’agenzia delle entrate.

Giovanni Fanni – Centro Studi CGN