L’impiego di agenzie investigative costituisce uno strumento potenzialmente molto efficace che le imprese possono adottare al fine di individuare eventuali condotte illecite adottate dai propri dipendenti.
I controlli devono sempre avvenire nel pieno rispetto della privacy e della dignità del lavoratore e tramite soggetti autorizzati allo svolgimento di tale attività.
La giurisprudenza si è espressa più volte sul tema, sancendo così alcuni principi fondamentali per considerare legittima l’attività investigativa:
- il divieto di indagini investigative destinate al controllo dell’adempimento della prestazione lavorativa dei propri dipendenti;
- legittimità dei controlli finalizzati all’individuazione di comportamenti illeciti che esulano dalle normali attività lavorative (es. controllo finalizzato alla verifica del regolare utilizzo dei permessi Legge 104);
- l’impiego di agenzie investigative deve essere giustificato da ragioni concrete;
- il diritto di utilizzo delle agenzie investigative al fine di tutelare il patrimonio reputazionale dell’azienda, ricomprendendo nella nozione di “patrimonio aziendale” non solo i beni aziendali, ma anche l’immagine esterna della stessa (Ordinanza n. 30079/2024 Cassazione civile, Sezione lavoro).
Recentemente, con Ordinanza del 20 agosto 2025, n. 23578, la Cassazione è tornata sul tema.
Nel caso in esame, l’intervento investigativo era finalizzato alla verifica del rispetto dell’obbligo di garantire la reperibilità nelle fasce orarie stabilite dalla legge e dalla contrattazione collettiva da parte di un dirigente, assente per malattia.
In particolare, il dirigente era stato pedinato per sedici giorni, seppure non continuativi, da un’agenzia investigativa, anche durante le festività natalizie. Il pedinamento era avvenuto su strade pubbliche e all’interno di locali aperti al pubblico e aveva coperto quasi integralmente il tempo in cui il lavoratore si trovava fuori casa, andando ben oltre le fasce orarie di reperibilità previste per la malattia.
Inoltre, il controllo aveva coinvolto non solo i familiari che erano con il dirigente, ma anche soggetti terzi incontrati durante il periodo in cui sono stati effettuati i controlli.
A seguito dell’attività investigativa, il dirigente era stato licenziato per aver più volte violato, durante l’assenza per malattia, l’obbligo di garantire la reperibilità nelle fasce orarie stabilite dalla legge e dalla contrattazione collettiva.
Nel caso di specie, la Cassazione ha confermato l’illegittimità del licenziamento.
Il controllo, eseguito con tali modalità, è stato ritenuto eccessivamente invasivo della vita privata del lavoratore e realizzato in violazione dei principi di proporzionalità e minimizzazione.
La Cassazione, confermando quanto già sancito dalla giurisprudenza maggioritaria, ha ribadito che “in nessun caso può essere giustificato un sostanziale annullamento di ogni forma di garanzia della dignità e riservatezza del lavoratore”.
Anche nel caso di controllo difensivo lecito, occorre comunque che sia “assicurato un corretto bilanciamento tra le esigenze di protezione di interessi e beni aziendali, correlate alla libertà di iniziativa economica, rispetto alle imprescindibili tutele della dignità e della riservatezza del lavoratore”.
Infatti, i controlli difensivi sono ammessi solo se sorretti da un sospetto ragionevole, proporzionati e rispettosi della dignità del lavoratore. In mancanza di questi requisiti, le prove raccolte non possono essere utilizzate e il licenziamento è nullo.
In definitiva, anche il legittimo interesse del datore non può mai sacrificare del tutto la riservatezza e i diritti fondamentali del lavoratore.
Francesco Geria – LaborTre Studio Associato