Condotta extra-lavorativa e licenziamento disciplinare del lavoratore

I comportamenti tenuti dal lavoratore in contesti extra-lavorativi possono giustificare un licenziamento disciplinare del dipendente?

La Corte di Cassazione, con Ordinanza del 24 luglio 2023, n. 22077, ha ribadito che le condotte extra-lavorative possono giustificare il licenziamento disciplinare del lavoratore, solo qualora tali fatti abbiano rilevanza giuridica nel contesto aziendale in quanto la condotta extra-lavorativa incide sul corretto svolgimento della prestazione lavorativa.

Nel caso preso in esame dalla Suprema Corte, il lavoratore era stato licenziato per giusta causa a seguito della denuncia per maltrattamenti, ingiurie e lesioni personali sporta dalla convivente del lavoratore, cui aveva fatto seguito l’avvio di un procedimento penale e l’applicazione di una misura cautelare.

Il lavoratore ha impugnato il licenziamento chiedendone l’annullamento e la reintegrazione in servizio, oltre al pagamento di un indennizzo risarcitorio commisurato alle retribuzioni perse dalla data di licenziamento fino a quella di effettiva reintegrazione in servizio e al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali maturati.

Nel primo grado di giudizio, il Tribunale ha rigettato l’impugnazione del licenziamento, considerando legittima la giusta causa di licenziamento. Tuttavia, la Corte d’Appello di Roma ha dichiarato illegittimo il licenziamento, annullandolo e, ai sensi dell’articolo 18, comma 4, Legge n. 300 del 1970, ha ordinato alla società la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e ha condannato il datore di lavoro a pagare l’indennità risarcitoria nella misura di dodici mensilità della retribuzione globale di fatto, oltre contributi previdenziali ed assistenziali.

In particolare, la Corte d’Appello ha considerato illegittimo il licenziamento sulla base delle seguenti argomentazioni:

  • la verifica del carattere del “fatto illecito” deve essere apportata non alla responsabilità disciplinare, bensì al disvalore sociale oggettivo del fatto commesso nel contesto del mondo dell’azienda, ciò al fine di evitare che ogni condotta, comunque accertata come reato, si traduca sempre in un illecito disciplinare e quindi idoneo a giustificare un licenziamento;
  • è necessario accertare se i fatti contestati, ancorché connotati da gravità tale da elidere in astratto l’elemento fiduciario, abbiano in concreto assunto una specifica rilevanza disciplinare, tenuto conto delle mansioni svolte dal lavoratore e dell’ambito lavorativo aziendale;
  • il pericolo concreto e attuale che il lavoratore potesse porre in essere atti ingiuriosi, minacciosi e violenti anche nel luogo di lavoro, temuto dal datore di lavoro, non si è verificato. Il datore di lavoro non aveva, infatti, mai contestato condotte sconvenienti, prepotenti o litigiose verso i colleghi o gli utenti;
  • in relazione, invece, al possibile discredito sociale idoneo a provocare alla società un grave nocumento morale, “non è emersa… in modo chiaro ed univoco l’evidenza di un pregiudizio né effettivo né potenziale dell’azienda, anche solo come riflesso che avrebbe potuto avere la condotta extra lavorativa, peraltro priva di eco mediatica, sull’immagine dell’azienda stessa”.

La Suprema Corte di Cassazione, confermando la decisione della Corte d’Appello, ha ribadito il principio secondo cui il grave nocumento morale e materiale dev’essere parte integrante della fattispecie prevista come giusta causa di recesso e, pertanto, è necessario accertarne la relativa sussistenza e la sua attitudine ad integrare un elemento che osta alla prosecuzione del rapporto di lavoro.

In mancanza di tale accertamento, la condotta extra-lavorativa del dipendente non può di per sé giustificare la giusta causa di licenziamento.

Inoltre, in assenza di qualsiasi elemento che possa far temere condotte violente o minacciose sul luogo di lavoro, nonché di elementi a supporto di un’incompatibilità tra il lavoratore, le mansioni svolte e l’ambiente lavorativo, le condotte extra-lavorative, pur se accertate, non sono in grado di incidere sul rapporto di lavoro, neppure in via indiretta e non possono giustificare il licenziamento per motivi disciplinari.

Sotto altro profilo, la Corte conferma che l’ipotesi di “insussistenza del fatto”, che giustifica l’applicazione della tutela reintegratoria ex articolo 18, comma 4, Legge n. 300/1970, ricorre non solo in caso di “inesistenza” del fatto materiale, ma anche in caso di esistenza del fatto materiale privo del carattere di illiceità.

Nel caso di specie, seppure sia stato provato il reale accadimento dei fatti, il carattere “neutro” della condotta extra-lavorativa rispetto al rapporto di lavoro legittima l’applicazione della tutela reintegratoria in favore del lavoratore.

Francesco Geria – LaborTre Studio Associato