Responsabilità del commercialista? Fino alla confisca!

Nei confronti di un commercialista che ha progettato l’affare illecito e assistito l’azienda nell’operazione da lui ideata, scatta il sequestro preventivo finalizzato alla confisca dei beni. È questo il contenuto della sentenza n. 24166 del 16 giugno 2011 della Corte di Cassazione che ha rigettato il ricorso del professionista cui erano stati confiscati i suoi beni.

In particolare, secondo i giudici di legittimità, è valido il sequestro preventivo dei beni di proprietà del commercialista nel caso in cui si renda responsabile e abbia, quindi, ideato in favore dell’impresa della quale è il consulente fiscale l’indebita compensazione di imposte.

La presente pronuncia è l’epilogo di una vicenda che trae origine dalla comunicazione giunta presso la Procura della Repubblica da parte della Guardia di Finanza, secondo cui, erano stati commessi alcuni reati tributari e, tra questi, l’indebita compensazione di imposte da parte di un’associazione per delinquere della quale avrebbero fatto parte alcune società e il loro consulente fiscale.

Il Giudice per le indagini preliminari, oltre a disporre nei confronti del professionista misure cautelari, disponeva il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente dei beni a lui riconducibili. Il commercialista, quindi, dopo la conferma delle misure restrittive adottate dal Tribunale del riesame, ha proposto ricorso per Cassazione.

In particolare, secondo il professionista, il sequestro dei beni disposto dal Gip e confermato dal Tribunale del Riesame era del tutto illegittimo perché “relativo a beni appartenenti a soggetto del tutto estraneo al reato di cui all’art. 10 quater D.Lgs n. 74/2000”.

Inoltre, sempre secondo le motivazioni addotte, il professionista si era limitato a svolgere la propria attività di consulenza professionale delle società coinvolte nella vicenda in esame senza alcuna partecipazione diretta all’attività di indebita compensazione.

Secondo la Corte di Cassazione, però, il ricorso presentato dal contribuente è infondato, poiché le censure, generiche, meramente ripetitive e, peraltro, esposte in sede di Tribunale del riesame, sono in contrasto con quanto correttamente accertato dai giudici di merito. La Suprema corte, al riguardo, “senza sconfinare nel sindacato della concreta fondatezza dell’accusa” non può non evidenziare, inoltre, che il commercialista non soltanto, anche in proprio, avvalendosi del sistema dell’indebita compensazione tramite modello F24, aveva omesso il versamento di tributi negli anni che andavano dal 2008 al 2010, ma era stato il reale ideatore dell’illecito utilizzo del modello F24 per le indebite compensazioni, ammontanti a un importo superiore a Euro 1.000.000. Disponeva, pertanto, il sequestro preventivo dei beni a lui riconducibili finalizzato alla confisca per equivalente.

Sebbene la pronuncia della Suprema corte sia da ricondurre alla legittimità del sequestro dei suoi beni (e non anche alla responsabilità dello stesso per i reati a lui ascritti), non vi è dubbio che, in linea di principio, non è e non sarà semplice per qualunque professionista che tiene la contabilità di un’impresa dimostrare d’ora innanzi, in presenza di crediti inesistenti compensati mediante presentazione all’Amministrazione finanziaria del modello F24, di aver avuto un ruolo non attivo e dimostrare, quindi, la sua estraneità.

Il commercialista che cura la contabilità di un’azienda, infatti, assume un ruolo attivo nell’ambito della formazione e dell’utilizzo del credito da utilizzare in compensazione e non potendo non conoscere se e in quale misura quest’ultimo possa essere compensato, concorre consapevolmente alla realizzazione delle indebite compensazioni.