Flat tax: come funzionerebbe l’aliquota?

In quest’ultimo periodo si è sentito spesso parlare della cosiddetta “flat tax”. Alcuni sostenitori considerano la flat tax la soluzione migliore per abbattere la pressione fiscale, ritenuta uno dei principali freni alla ripresa economica.

Cos’è e come funziona?

La flat tax costituisce un sistema di tassazione del reddito contraddistinto da un limitato numero di aliquote. In altri termini, è un tipo di tassazione proporzionale, in base alla quale tutti i contribuenti tassano la base imponibile con la medesima percentuale e non con un’aliquota marginale crescente all’aumentare del reddito.

Partendo dal presupposto che la flat tax prevede un radicale disboscamento di detrazioni e deduzioni, il contribuente che intendesse determinare le imposte da versare con riferimento a un particolare anno di imposta utilizzando la flat tax (che letteralmente vuol dire tassa piatta), potrebbe semplicemente applicare un’aliquota fissa (es. al 20%) alla propria base imponibile. Sarebbe sufficiente poi che il contribuente riportasse quanto dovuto senza compilare moduli riepilogativi delle spese deducibili e detraibili (con relativi scontrini e fatture), che dovranno poi essere verificate e controllate da operatori del settore e poi dall’Amministrazione Finanziaria.

In Italia può essere applicata?

L’art. 53 della Costituzione italiana prevede che il sistema tributario sia “informato a criteri di progressività” della tassazione in ragione della capacità contributiva del cittadino.

In altri termini, qualunque discussione in merito all’eventuale applicazione della flat tax dovrebbe innanzitutto superare i dubbi circa l’incostituzionalità di questo tipo di tassazione non progressivo. Infatti, l’uso dell’espressione “criteri”, nella forma al plurale, autorizza a pensare che la Costituzione ammetta l’esistenza di più strade percorribili per giungere a un sistema tributario “tendenzialmente” progressivo.

È bene ricordare, comunque, che la progressività non prevede “obbligatoriamente” la struttura a scalare delle aliquote. È possibile, infatti, immaginare una progressività basata su una flat tax unita a un sapiente sistema di deduzioni e detrazioni progressive (né fisse, dunque, né meramente proporzionali).

Al di là dei dubbi di costituzionalità che la flat tax potrebbe sollevare, va detto che nel nostro Paese, l’aliquota unica è già applicata: l’IRES, infatti, ovvero l’imposta sul reddito delle società, si sostanzia in una sola aliquota, che è pari al 27,5% degli utili di chi fa impresa.

All’obiezione che generalmente viene mossa alla flat tax, riguardo al mancato rispetto del principio di progressività, si potrebbe “replicare” che, insieme alla flat tax, potrebbe essere istituita una no-tax area, ossia una soglia minima al di sotto alla quale il reddito non verrebbe tassato.

Quali sono i vantaggi?

Il principale vantaggio della flat tax, sottolineato anche da chi in questi anni si è tanto speso per la sua diffusione, come Alvin Rabushka, è dato dalla semplicità con cui potrebbe essere applicata anche dai cosiddetti non addetti ai lavori.

L’aliquota unica, infatti, consentirebbe a ciascun contribuente di calcolare la propria imposta senza tenere conto di mirabolanti deduzioni o detrazioni spettanti a specifiche condizioni; il calcolo delle imposte, quindi, dovrebbe risultare più semplice e immediato.

Flat tax: un esempio

Ipotizziamo che vi sia un’aliquota unica pari al 15% e  una deduzione pari a 5.000 euro. Il sistema delle deduzioni garantirebbe la progressività.

I dubbi

Prima di verificare l’impatto della nuova imposta, dobbiamo premettere che l’Irpef complessivamente incassata per l’anno 2012 ammonta a circa euro 163 miliardi e la base imponibile a circa euro 800 miliardi. Utilizzando i dati IRES 2012, dovremmo considerare imposte per circa euro 40 miliardi e una base imponibile per circa euro 155 miliardi.

Applicando la flat tax all’Irpef, con 60 milioni di residenti circa, la deduzione di euro 5.000 pro capite comporterebbe una riduzione di reddito imponibile per 300 miliardi di euro (5.000 x 60 milioni), abbassando il reddito imponibile IRPEF a 500 miliardi di euro (800 miliardi meno 300 miliardi). Le imposte ammonterebbero a circa 75 miliardi di euro (500 miliardi x 15%) contro i 163 miliardi di imposte 2012. Anche considerando l’IRES, corrispondente circa a 23,25 miliardi di euro (155 miliardi x 15%), complessivamente, quindi, si giungerebbe a un totale di 98,25 miliardi di entrate complessive contro euro 203 (euro 163 più euro 40). In altri termini, applicando la flat tax, lo Stato italiano incasserebbe circa 104,75 miliardi di euro in meno rispetto alle entrate di IRPEF e IRES.

Anche se, in modo assolutamente ottimistico, emergesse l’evasione nella sua totalità (che si stima ammontante a 230 miliardi di euro), l’Erario potrebbe arrivare a incassare un massimo di 34,5 miliardi (pari a 230 miliardi per 15%). Anche nell’ipotesi più favorevole sul recupero totale dell’evasione, dunque, a seguito dell’introduzione della flat tax, l’Erario introiterebbe minori entrate fiscali, per un ammontare pari a 70,25 miliardi (euro 203 meno 98,25 meno 34,50).

In conclusione, se da un lato la flat tax avrebbe il merito di semplificare un sistema fiscale italiano gravido di complicazioni interpretative e talvolta contraddittorie, dall’altro renderebbe necessaria l’introduzione di tagli di spesa “razionali” per controbilanciare le minori entrate fiscali. Non è nemmeno immaginabile, infatti, che sia possibile sopperire a tale mancanza di gettito attraverso un aumento del deficit pubblico, certamente non gradito dall’Europa e dalle agenzie di rating.

Massimo D’Amico – Centro Studi CGN