Equo premio per le invenzioni dei lavoratori dipendenti

Spesso il lavoratore si cimenta in attività dalle quali scaturiscono poi invenzioni e applicazioni innovative per la gestione dei processi interni delle aziende. Ecco quindi che sorge un problema: come remunerare il lavoratore (e in particolare il lavoratore dipendente) per le novità apportate?

Il legislatore ha ritenuto di dover disciplinare le tutele delle invenzioni dei lavoratori dipendenti tenendo conto, da un lato delle contrapposte esigenze dei soggetti coinvolti – impresa e lavoratore – e dall’altro dei diritti morali e patrimoniali conseguenti all’invenzione.

Per affrontare correttamente l’analisi è utile stabilire a priori se l’invenzione sia figlia delle mansioni a cui è preposto il lavoratore o se la stessa avvenga per pura occasionalità e in ambiti estranei al luogo del lavoro.

In secondo luogo la valutazione di un equo premio potrebbe sfociare in un contenzioso con il datore di lavoro, il quale, in sede giudiziale, potrebbe opporre la “paternità” dell’invenzione in capo al lavoratore.

Infine potrebbero insorgere difficoltà nel quantificare la somma da corrispondere quale equo compenso.

Un prima risposta alle problematiche sopra esposte è rintracciabile, in prima battuta, nelle disposizioni annoverate all’art. 2590 del codice civile rubricato come “Invenzione del prestatore di lavoro” ove è puntualmente stabilito che: “Il prestatore di lavoro ha diritto di essere riconosciuto autore dell’invenzione fatta nello svolgimento del rapporto di lavoro. I diritti e gli obblighi delle parti relativi all’invenzione sono regolati dalle leggi speciali”.

Ecco quindi come il legislatore, pur nel riconoscere il lavoratore quale autore unico dell’invenzione anche se prodotto per effetto del rapporto di lavoro in essere, demanda alla normativa di rango speciale (e quindi prioritaria rispetto al codice civile che riveste natura di norma generale) la disciplina di tutte le obbligazioni e i diritti sorti a causa dell’invenzione stessa.

Normativa speciale racchiusa principalmente nel Codice di Proprietà Industriale (c.p.i.) che regolamenta la materia agli art. 63 e 64.

Definizione, paternità e tipi di invenzione

Nel valutare come e quando si debba stabilire se un’invenzione sia stata realizzata da parte del dipendente, la normativa sopra richiamata, purtroppo, non offre una definizione di “invenzione”.

In via del tutto autodidattica possiamo qualificare come “inventore” colui che è in grado di trovare la soluzione ad una questione tecnica irrisolta ovvero di inquadrare la questione stessa in maniera innovativa, apportando semplificazioni o nuovi accorgimenti alle invenzioni già esistenti. Senza considerare poi che un’ idea può nascere in momenti successivi al sorgere della problematica o ancora è il risultato di una semplice quanto banale (ma tale non lo è) intuizione sorprendente e innovativa rispetto al problema posto.

A chi spetta, pertanto, la paternità della stessa invenzione?

Di certo, in base alla previsioni insite nel nostro ordinamento, la paternità di un’invenzione spetta a colui che ne deposita il brevetto presso gli organi competenti (di solito Camera di Commercio). Infatti il brevetto è quell’istituto giuridico attraverso il quale il legislatore assicura al soggetto inventore il diritto di utilizzazione esclusivo dell’invenzione per un determinato lasso di tempo. Ecco perché risulta preponderante stabilire in quale ambito sia nata l’invenzione e per quale scopo.

Quanto sopra può avvenire durante lo svolgimento di un rapporto di lavoro dipendente e pertanto nei contratti individuali vengono spesso inserite delle clausole regolanti le condizioni di favore nei confronti del datore di lavoro nel caso in cui il dipendente realizzi un’invenzione. La presenza di queste clausole permetterà, tra l’altro, di risolvere l’eventuale conflittualità che potrebbe insorgere nel caso di invenzioni la cui paternità non venga prevista e regolamentata tra datore e prestatore dell’opera.

Se queste condizioni non risultano annoverate nei contratti individuali di lavoro, ecco soccorrere il dettato normativo inserito nel Codice di Proprietà Industriale, che in base a quanto stabilito dall’art. 64 sopra richiamato potrebbe prospettare una delle sotto declinate situazioni:

  1. nel caso in cui l’invenzione sia realizzata da un dipendente assunto con funzioni di ricerca il brevetto spetterà al datore di lavoro. Il lavoratore potrà solo esserne riconosciuto l’inventore, dal punto di vista morale ma senza nessun ritorno economico essendo tale compenso già previsto nel suo salario;
  2. se invece il lavoratore non è assunto con funzioni di ricerca, e quindi non è pagato per inventare, ma l’invenzione è fatta nell’esecuzione o nell’adempimento di un rapporto di lavoro, i diritti derivanti dall’invenzione appartengono sempre al datore di lavoro, ma all’inventore spetta un “equo compenso” che sarà calcolato tenendo conto dell’importanza del brevetto, delle mansioni e della retribuzione dell’inventore e dell’aiuto che a questi ha offerto l’organizzazione aziendale;
  3. quando poi l’invenzione è realizzata al di fuori del rapporto di lavoro ma abbia comunque attinenza con il settore in cui opera l’impresa, il datore di lavoro ha un diritto di opzione per l’acquisto del brevetto, diritto già di fatto esistente nella normativa attuale che pure parlando di prelazione è sempre stata interpretata dalla giurisprudenza come una vera e propria opzione.

L’Equo premio e la sua determinazione

Secondo la situazione di cui sopra il datore potrà esercitare la propria opzione in capo all’invenzione, ma dovrà conseguentemente corrispondere al lavoratore un prezzo stabilito. Prezzo che dovrà essere determinato detraendo la somma corrispondente agli aiuti che il dipendente possa avere avuto dall’impresa per realizzare l’invenzione. Tale facoltà dovrà essere esercitata dall’azienda – e quindi dal datore di lavoro – entro tre mesi dalla comunicazione dell’avvenuto deposito della domanda.

Per determinare il “giusto prezzo” all’invenzione scaturita dall’intuizione del lavoratore dipendente, ancora una volta, purtroppo, non è però possibile rintracciare riferimenti all’interno del nostro ordinamento, dovendo pertanto mutuare quanto offerto dal panorama giuridico di oltre frontiera.

Ecco quindi che, anche secondo giurisprudenza ormai consolidata (Cassazione 7161/1998), la questione dell’equo compenso per le invenzioni del lavoratore viene affrontata mutuando quanto previsto dall’ordinamento giuridico tedesco (la cosiddetta “formula tedesca”) utilizzando al seguente formula:

EP = (VxC) x P

dove:

EP = Equo Premio

V = Valore dell’invenzione

C = Abbattimento del valore dell’invenzione

(VxC) = Valore rettificato dell’invenzione

P = Fattore che ne diminuisce proporzionalmente l’entità (detto anche “fattore proporzionale”). 

Il valore del brevetto (V) è espresso dall’attualizzazione dei benefici economici futuri, mentre il fattore C consiste in un’ulteriore abbattimento del valore rettificato dell’invenzione. Questo oscilla, convenzionalmente, fra 87,5% e 67% (abbattimento fra 12,5% e 33%).

Il fattore P misura il ruolo del dipendente rispetto al ruolo dell’impresa nel processo inventivo, combinando tra loro tre elementi:

  1. soluzione del problema: misura l’iniziativa del dipendente nella soluzione del problema raggiunta con ordinario sforzo, utilizzo di precedenti conoscenze, mezzi tecnici dati dall’impresa;
  2. mansione svolta: determina la funzione del dipendente all’interno dell’organizzazione;
  3. posizione del problema: misura l’iniziativa del dipendente nell’individuazione del problema tecnico.

Ogni elemento viene quindi rapportato ad una scala numerica di riferimento da 1 a 6. Vengono sommati i valori così determinati ottenendo un nuovo valore da ricondurre, sulla base di una tavola di raccordo, ad una percentuale, determinando così il fattore P.

Tavola di raccordo per definizione fattore “P”

Equo premio

Esempio:

  • Valore economico dell’invenzione (V):  € 500.000
  • Abbattimento del valore dell’invenzione (C): 25% = € 125.000
  • Valore rettificato dell’invenzione (VxC) = € 375.000
  • Caratteristiche del dipendente inventore (invenzione senza richiesta del datore con sforzo ordinario) = Fattore “P” pari a 7 punti quindi ad un riconoscimento del 13%
  • Equo premio (EP) =  375.000 x 13% = € 48.750.

Il trattamento fiscale e contributivo

Una volta stabilito l’equo premio da corrispondere al dipendente per le sue invenzioni sorge il problema dell’assoggettamento a imposizione fiscale e contributiva di quanto corrisposto.

Qui risulta necessario ricondurre l’invenzione all’ambito da cui questa sia scaturita e che permette una differenziazione della gestione tributaria e previdenziale.

  • Invenzioni di servizio” art. 64 c.1 c.p.i.: non è riconoscibile alcun premio in quanto l’invenzione risulta facente parte del rapporto sinallagmatico del contesto lavorativo. Quindi non nasce alcun problema di natura fiscale e previdenziale;
  • “Invenzioni aziendali” art. 64 c.2 c.p.i.: l’erogazione dell’equo premio è assoggettata sia a imposizione fiscale che a contribuzione previdenziale e assistenziale in quanto riconducibile al reddito da lavoro dipendente;
  • “Invenzioni occasionali” art. 64 c.3 c.p.i.: la corresponsione dell’equo premio è riconducibile ad un indennizzo. Pertanto risulta assoggettabile a imposizione fiscale ma non a quella contributiva.

di Francesco Geria – LaborTre Studio Associato