Pagamento degli stipendi soltanto con strumenti tracciabili

La nuova legge di bilancio per il 2018 ha previsto lo stop all’uso del contante per il pagamento degli stipendi. Dal 1° luglio 2018, infatti, i datori di lavoro e i committenti non potranno più effettuare il pagamento della retribuzione in favore dei propri dipendenti e collaboratori utilizzando il denaro contante.

Con questo provvedimento, il legislatore ha voluto:

  • arrestare il fenomeno del pagamento dello stipendio in misura inferiore agli importi fissati dal contratto collettivo nazionale di lavoro;
  • tutelare il lavoratore che riceve importi non corrispondenti a quanto indicato nella sua busta paga. In tal senso deve essere letto il testo della legge nella parte in cui prevede che “la firma apposta dal lavoratore sulla busta paga non costituisce prova dell’avvenuto pagamento della retribuzione”.

Stante quanto sopra previsto, quindi, le retribuzioni, ai sensi dell’art. 1, comma 910 della legge n. 205/2017, potranno essere corrisposte attraverso:

  • bonifico sul conto identificato dal codice IBAN indicato dal lavoratore”;
  • strumenti di pagamento elettronico”;
  • assegno bancario o circolare consegnato al lavoratore o al suo delegato. In quest’ultimo caso, la legge in esame ha previsto che “l’impedimento si intende comprovato quando il delegato a ricevere il pagamento è il coniuge, il convivente o un familiare, in linea retta o collaterale, del lavoratore, purché di età non inferiore a sedici anni”;
  • contanti ma solo “presso uno sportello bancario o postale dove il datore di lavoro abbia aperto un conto corrente di tesoreria con mandato di pagamento”.

La normativa in commento si applica a:

  • contratti di lavoro dipendente;
  • rapporti di collaborazione coordinata e continuativa;
  • contratti di lavoro instaurati in qualsiasi forma dalle cooperative con i propri soci ai sensi della legge 3 aprile 2001, n. 142.

La tracciabilità dei pagamenti, prevista dall’art. 1, commi da 910 a 914, non si applicherà, tuttavia:

  • ai rapporti di lavoro instaurati con le pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165;
  • ai rapporti di lavoro domestico e, nello specifico, alle badanti e alle colf rientranti nell’ambito di applicazione dei contratti collettivi nazionali per gli addetti a servizi familiari e domestici (in pratica a coloro che lavorano almeno quattro ore giornaliere presso il medesimo datore di lavoro).

La sanzione a carico del datore di lavoro per la violazione di tali obblighi va da euro 1.000 a euro 5.000.

Massimo D’Amico – Centro Studi CGN