Criptovalute e bitcoin: sono la nuova moneta?

Si parla sempre più spesso di criptovaluta, cioè una valuta digitale decentralizzata, che si basa sui principi della crittografia per convalidare le sue transazioni e la generazione di moneta. Si può dire che la criptovaluta rappresenta una valida alternativa alle monete tradizionali?

Iniziamo col dire che le valute virtuali sono la rappresentazione digitale di un valore e possono essere negoziate o archiviate elettronicamente.

Esse non sono emesse da una Banca centrale o da un’Autorità pubblica e quindi possono essere rifiutate per l’estinzione di un debito pecuniario.

Infatti, i debiti pecuniari si estinguono con la moneta avente corso legale (art. 1277 codice civile), per cui una valuta virtuale può essere usata come mezzo di pagamento solo su base volontaria tra parti consenzienti.

Nella sua funzionalità, la valuta virtuale usa la crittografia (per questo motivo criptovaluta), cioè quel metodo che rende un messaggio comprensibile solo a chi possiede la chiave per decifrarlo. Ecco perché il sistema, che in generale è considerato anonimo, è più precisamente pseudo-anonimo.

Ma nonostante ciò, il Consiglio nazionale del Notariato, nel recentissimo quesito antiriciclaggio n. 3-2018/B, ha invitato i Notai roganti di compravendite regolate in bitcoin a considerare la possibilità di effettuare una segnalazione di operazione sospetta alla UIF.

Una delle motivazioni alla base delle indicazioni di massima fornite dal CNN risiede nella impossibilità di garantire l’identità di un soggetto che effettua un accesso. Nel mondo digitale l’identificazione è una mera verifica di credenziali, mentre come sappiamo lo stesso concetto in materia di adempimenti antiriciclaggio è totalmente differente, occorrendo la verifica dell’identità delle parti interessate tramite i documenti di riconoscimento ammessi dalla normativa.

Il compratore di un bene o servizio ben può dichiarare che il conto dal quale muoverà i bitcoin per pagare è il proprio, così come il venditore potrà ben asserire che il conto sul quale saranno ricevuti gli appartiene, ma queste dichiarazioni non sono riscontrabili e quindi viene compromesso il requisito della trasparenza.

I bitcoin sono la valuta virtuale più diffusa e non hanno né un supporto fisico né un valore intrinseco, in quanto sono regolati dalla domanda e dall’offerta all’interno di un mercato virtuale.

Essi:

  • sono creati da un algoritmo;
  • scorrono su una piattaforma blockchain, cioè un registro digitale che tiene traccia di tutte le transazioni effettuate;
  • usano la tecnologia peer-to-peer (punto per punto), nella quale non occorre un server per lo scambio di informazioni.

L’algoritmo di emissione dei bitcoin è di 21 milioni di unità e si prevede finirà nel 2130, ma il ritmo di emissione rallenta progressivamente perché il sistema diventa sempre più pesante.

Dopo una o più transazioni in bitcoin, il possessore può ottenere il controvalore in euro, avvalendosi di una piattaforma di scambio (exchange). C’è da dire però che anch’essa non è regolamentata, per cui non esiste alcuna assicurazione o tutela del proprio account.

I bitcoin si detengono in appositi borsellini elettronici (wallet), che possono essere collocati nel desktop del proprio computer oppure nel web. I wallet teoricamente possono anche essere affidati agli exchange, che però, in alcuni casi, hanno subito duri attacchi da parte di hacker oppure hanno interrotto i loro servizi all’improvviso, lasciando a bocca asciutta chi aveva affidato i propri averi.

Le criptovalute certamente rispondono all’affascinante idea di poter acquistare beni e servizi senza intermediazione bancaria ma, ad avviso di chi scrive, esse ad oggi non cosituiscono una valida alternativa alle monete tradizionali.

Dott. Rag. Giuseppina Spanò – Palermo