La dichiarazione integrativa speciale: che cos’è e come funziona

La dichiarazione integrativa speciale è una delle più importanti novità contenuta nel testo definitivo del D.L. n. 119 del 23 ottobre 2018 nella parte recante le disposizioni in materia di pacificazione fiscale. Si tratta della possibilità di correggere errori ed omissioni contenuti nelle dichiarazioni presentate prevedendo il pagamento, sui maggiori imponibili emersi, di un’imposta sostitutiva con aliquota del 20%. Approfondiamo meglio questa importante novità.

L’art. 9, comma 1, del decreto in commento concede la possibilità per il contribuente di sanare la sua posizione fino a euro 100.000 di imponibile senza superare il 30% di quanto dichiarato. Il doppio limite opera in maniera disgiunta, nel senso che di fatto il limite massimo di euro 100.000 opera esclusivamente per i soggetti che dichiarano un imponibile di oltre euro 333.334 (il 30% di 333.334 è appunto euro 100.000). Per evitare un effetto disincentivante per i possessori di redditi modesti, la norma precisa che al di sotto di un imponibile minore di euro 100.000, nonché in caso di dichiarazione senza debito di imposta per perdite di cui agli articoli 8 e 84 del TUIR, l’integrazione è comunque ammessa fino a euro 30.000.

I contribuenti potranno modificare integrando, tramite la dichiarazione integrativa speciale, le seguenti dichiarazioni fiscali presentate entro il 31 ottobre 2017 (periodi di imposta dal 2013 al 2016) ai fini:

  • delle imposte sui redditi (IRPEF/IRES) e relative addizionali;
  • delle imposte sostitutive su quelle sui redditi;
  • delle ritenute;
  • dei contributi previdenziali;
  • dell’imposta regionale sulle attività produttive;
  • dell’IVA.

Le disposizioni in tema di dichiarazione integrativa speciale prevedono l’applicazione di un’imposta sostitutiva sul maggiore imponibile dichiarato per ogni anno di imposta, senza interessi e sanzioni:

  • pari al 20% ai fini delle imposte sui redditi e relative addizionali, delle imposte sostitutive delle imposte sui redditi, dei contributi previdenziali e dell’imposta regionale sulle attività produttive;
  • pari al 20% determinata applicandola sulle maggiori ritenute;
  • individuata attraverso la determinazione dell’aliquota media per l’IVA, risultante dal rapporto tra l’imposta relativa alle operazioni imponibili, diminuita di quella relativa alle cessioni di beni ammortizzabili, e il volume d’affari dichiarato, tenendo conto dell’esistenza di operazioni non soggette ad imposta ovvero soggette a regimi speciali. Quando non è possibile determinare l’aliquota media, viene applicata l’aliquota ordinaria.

Per poter accedere al condono dei debiti col Fisco i contribuenti devono inviare una dichiarazione integrativa speciale all’Agenzia delle Entrate per i periodi d’imposta per i quali non sono scaduti i termini per l’accertamento. I contribuenti che vogliono beneficiare della citata misura prevista dalla pace fiscale devono provvedere al pagamento

  • in un’unica soluzione di quanto dovuto entro il 31 luglio 2019;
  • in dieci rate semestrali di pari importo a partire dal 30 settembre 2019;
  • senza possibilità di avvalersi della compensazione.

Nel caso in cui non vengano rispettate le scadenze, saranno applicate le disposizioni in materia di riscossione esecutiva di cui all’art. 14 del decreto del Presidente della Repubblica n. 602/1973, nonché gli interessi legali e una sanzione amministrativa pari al 30% delle somme non versate, ridotta alla metà in caso di versamento eseguito entro i 30 giorni successivi alla scadenza medesima.

Nella dichiarazione integrativa speciale non possono essere utilizzate, a scomputo dei maggiori imponibili dichiarati, le perdite di cui agli articoli 8 e 84 del TUIR. La dichiarazione integrativa speciale è irrevocabile, deve essere sottoscritta personalmente ed è esperibile solo nel caso in cui il contribuente abbia presentato le dichiarazioni fiscali.

I casi in cui la dichiarazione integrativa speciale non è ammessa sono i seguenti:

  • il contribuente non ha presentato le dichiarazioni fiscali anche solo per uno degli anni di imposta dal 2013 al 2016;
  • la richiesta viene presentata dopo che il contribuente ha avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche, inviti o questionari o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali, per violazione di norme tributarie;
  • l’emersione di attività finanziarie e patrimoniali costituite o detenute fuori dal territorio dello Stato;
  • per i redditi prodotti in forma associata di cui all’art. 5 del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica n. 917/1986 dai contribuenti che hanno esercitato l’opzione prevista dagli articoli 115 o 116 del predetto testo unico con riferimento alle imposte dovute sui maggiori redditi di partecipazione ad essi imputabili per i rilievi formulati a seguito di accessi, ispezioni, verifiche o di qualsiasi atto impositivo a carico delle società da essi partecipate.

L’Agenzia delle Entrate provvederà ad emanare le modalità di presentazione della dichiarazione integrativa speciale nonché del pagamento dei relativi debiti tributari con le istruzioni necessarie per l’attuazione delle misure. Si procederà inoltre allo scambio dei dati relativi alle procedure tra l’Agenzia delle Entrate e gli altri organi dell’Amministrazione finanziaria.

Dai primi commenti da parte della dottrina più autorevole emerge la necessità di perfezionare il testo normativo per quanto concerne le soglie quantitative di accesso al beneficio. Non è ben chiaro infatti come opera il limite di euro 100.000 in relazione ai diversi comparti impositivi, cioè se il limite degli imponibili integrabili pari a euro 100.000 annui con l’ulteriore limite del 30% del dichiarato sia, nel complesso, da suddividere tra i tributi oggetto di definizione. Se tale fosse l’interpretazione da adottare si avrebbe, ad esempio, che se un contribuente ha omesso di dichiarare imponibili per euro 60.000 ai fini IRPEF e per euro 60.000 ai fini IVA, non possa integrare euro 120.000, ma solo euro 100.000, suddivisi tra i diversi ambiti impositivi. È però del tutto evidente che se l’integrazione ha ad oggetto un medesimo presupposto imponibile rilevante ai fini di più ambiti impositivi (si pensi all’emersione di un ricavo o compenso non fatturato che può rilevare, contemporaneamente, sia ai fini IRPEF/IRES, sia ai fini IRAP, sia ai fini IVA, sia ai fini della contribuzione previdenziale), non ha alcun senso, ai fini della verifica del limite di euro 100.000, moltiplicare l’imponibile oggetto di integrazione per il numero di tributi per i quali lo stesso assume contemporaneamente rilevanza, trattandosi pur sempre dell’emersione dello stesso fatto generatore di un imponibile comunque non superiore al predetto limite di euro 100.000.

Un altro elemento dubbio è rappresentato dal componente, quadro o rigo del modello dichiarativo da prendere in considerazione ai fini della determinazione della soglia quantitativa di accesso. L’eccessiva rigidità della disciplina è da rivedere quando pone il veto ai contribuenti che non hanno presentato una sola dichiarazione durante l’intero periodo accertabile (basterebbe escluderlo solo per quell’annualità). Anche la parte relativa alle coperture tributarie, penali e in materia di antiriciclaggio merita una rivisitazione in quanto si presenta criptica e incoerente.

Nicolò Cipriani – Centro Studi CGN