Ammortizzatori sociali: quali tutele a favore dei lavoratori intermittenti?

La crisi sanitaria collegata alla diffusione del virus Covid-19 ha avuto riflessi pesanti anche a livello economico ed occupazionale. Quali sono le forme di sostegno per i lavoratori intermittenti? Cosa prevedono le ultime disposizioni normative al riguardo?

Nell’attuale scenario di emergenza epidemiologica, numerose sono state le problematiche affrontate a tutti i livelli e in particolare nei contesti sanitari, educativi, finanziari e occupazionali.

Per quanto attiene il mercato del lavoro e il sostegno al reddito dei lavoratori forzatamente sospesi si è tentato di offrire le massime tutele attraverso anche strumenti legislativi emergenziali quali il D.L. 2 marzo 2020 n. 9 e il D.L. 17 marzo 2020, n. 18 (c.d. Decreto Cura Italia).

Con tali provvedimenti normativi si sono introdotte specifiche previsioni valide ed efficaci per tutto il periodo di emergenza stabilendo, in deroga alle disposizioni ordinarie, interventi di integrazione salariale (es. cassa integrazione guadagni ordinaria, assegno ordinario erogato dal fondo di integrazione salariale e cassa integrazione in deroga), a beneficio di una platea di lavoratori dipendenti il più estesa possibile.

Tra le molteplici tipologie contrattuali beneficiarie di ammortizzatori sociali, a tutt’oggi alcune restano ancora ai margini delle tutele attivate e tra queste, in particolare, la schiera dei lavoratori intermittenti (c.d. lavoratori a chiamata).

Quasi mai ci si è preoccupati di questa tipologia contrattuale, sia perché nell’applicazione degli ammortizzatori sociali tali contratti risultano poco coinvolti, sia perché le c.d. “chiamate” generalmente non coprono archi temporali consistenti e pertanto, in caso di crisi, la soluzione adottata risulta essere quella di non procedere con ulteriori chiamate. Dato l’attuale perdurare della crisi che ha colpito con forza quei settori ove il contratto intermittente risulta maggiormente utilizzato (vedi terziario, pubblici esercizi e turismo), il problema di garantire una tutela anche a questi lavoratori torna con forza alla luce.

Quindi il problema che ci si deve porre è stabilire se i lavoratori a chiamata possano essere destinatari degli ammortizzatori sociali appositamente previsti per l’emergenza da Covid-19.

In primo luogo è utile precisare come il contratto di lavoro intermittente, per sua natura, si caratterizza per il fatto che nei periodi di disponibilità – e quindi di fermo – il lavoratore non matura alcun trattamento economico o normativo (articolo 13, comma 4, D.Lgs. 81/2015).

Al fine di valutare se i lavoratori a chiamata possano beneficiare degli interventi di integrazione salariale, già l’Inps, con la propria Circolare del 13 marzo 2006, n. 41, chiarì che, dovendo “le integrazioni salariali … integrare o sostituire una perdita di retribuzione effettiva, il lavoratore intermittente poteva accedere all’ammortizzatore sociale solo se “il lavoratore ha risposto alla chiamata prima del verificarsi della causa per cui sono state richieste le integrazioni salariali”. Essendo, infatti, iniziato un rapporto di lavoro a tempo determinato (v. punto 4-2 lett. B della circolare citata), la retribuzione persa in conseguenza della riduzione o sospensione del lavoro può essere integrata. Se la causa di riduzione o sospensione dell’attività lavorativa, invece, si verifica prima che il lavoratore venga chiamato o risponda ad una chiamata, sempre secondo l’Istituto, non esiste retribuzione persa e quindi da integrare.

Di recente l’Inps è ritornata sulla questione e con la Circolare del 28 marzo 2020, n. 47, nell’approfondire l’operatività degli ammortizzatori sociali disciplinati tramite il D.L. Cura Italia, ha chiarito come “l’accesso dei lavoratori intermittenti al trattamento in deroga è riconosciuto ai sensi della circolare Inps n. 41 del 2006 e nei limiti delle giornate di lavoro effettuate in base alla media dei 12 mesi precedenti”.

Pertanto, in considerazione delle caratteristiche contrattuali e normative sopra indicate e degli orientamenti di prassi succedutisi nel tempo, sembra possibile evidenziare due specifiche situazioni.

La prima che ammette il riconoscimento all’integrazione salariale a favore dei lavoratori intermittenti nel caso in cui gli stessi siano stati “chiamati” ma abbiamo poi dovuto sospendere la propria prestazione lavorativa a causa dell’intervento degli ammortizzatori sociali (in particolare a seguito del blocco delle attività imprenditoriali). In tal caso l’integrazione salariale da corrispondere sarà garantita, per l’appunto, nel limite della media delle giornate di lavoro effettuare nei 12 mesi precedenti la sospensione.

La richiesta dell’integrazione salariale potrà essere anticipata dall’azienda (se così optato per scelta o per accordo sindacale), o richiesta all’Inps – sempre a cura dell’azienda – tramite la presentazione del modello SR41 in caso di pagamento diretto come, ad esempio, nelle casse integrazioni in deroga.

In conseguenza dell’emergenza epidemiologica da Covid-19, infatti, molte Regioni e le Province Autonome hanno ricompreso i lavoratori a chiamata tra i beneficiari ai trattamenti di cassa integrazione salariale in deroga, per la durata della sospensione del rapporto di lavoro e comunque per un periodo non superiore a nove settimane, con riferimento alla quasi generalità dei datori di lavoro del settore privato (inclusi quelli agricoli, della pesca e del terzo settore e compresi gli enti religiosi civilmente riconosciuti) per i quali non trovano applicazione le tutele previste dalle vigenti disposizioni in materia di sospensione o riduzione di orario, in costanza di rapporto di lavoro.

Per contro, invece, non sembra possibile riconoscere l’integrazione salariale nel caso in cui la causa di riduzione o sospensione dell’attività lavorativa si verifichi prima che il lavoratore venga chiamato o risponda ad una chiamata. In tale situazione, infatti, il lavoratore non risulta aver diritto ad alcuna retribuzione e quindi, conseguentemente, nemmeno ad una sua possibile integrazione.

Rimane da valutare la fattispecie di contratti intermittenti a favore dei quali sia prevista la corresponsione di una indennità di disponibilità (c.d. indennità di chiamata). A beneficio di questi lavoratori sembrerebbe ammissibile il riconoscimento delle integrazioni salariali, poiché durante il periodo di “fermo” è comunque dovuta l’indennità quale elemento retributivo da assoggettare a ritenuta fiscale e contribuzione.

A ben vedere, però, potrebbe essere ben obiettato che tale elemento non ha natura prettamente “retributiva” ma solamente indennitaria a fronte di un periodo di “non lavoro”. E poiché lo scopo prioritario degli ammortizzatori sociali è quello di integrare una retribuzione al verificarsi di particolari circostanze che ne sospendono il rapporto di lavoro, tale stato di cose sembra non possa connaturarsi nella fase di stand-by di un lavoratore intermittente in attesa di chiamata (anche se beneficiario della sopra citata indennità).

Francesco Geria – LaborTre Studio Associato