Trasferte e distacchi dei lavoratori: cosa fare durante l’emergenza Covid-19

L’emergenza sanitaria in corso, causata dal virus Covid-19, ha portato il Governo ad emanare numerosi provvedimenti, con la finalità di ridurre il rischio di contagio anche, nello specifico, in ambito lavorativo. In particolare l’emergenza epidemiologica ha avuto un impatto significativo sugli spostamenti delle persone, tra i quali ricadono i viaggi effettuati per motivi di lavoro, come trasferte e distacchi.

Si ha trasferta quando il lavoratore viene temporaneamente inviato a prestare la propria attività lavorativa presso una sede diversa da quella aziendale di riferimento.

A tale istituto non è attribuita una specifica definizione normativa, ma la giurisprudenza accosta la trasferta alla temporaneità dello spostamento e purché il lavoratore rimanga collegato funzionalmente (ricevendo ordini e indicazioni) alla sede abituale.

L’istituto consiste, più nello specifico, nel mutamento del luogo di lavoro in cui è abitualmente adibito il lavoratore, di carattere temporaneo con successivo rientro del lavoratore nella propria sede di lavoro cui consegue l’applicazione di un particolare trattamento economico, fiscale e contributivo.

L’indicazione del luogo della prestazione lavorativa si configura come un elemento essenziale del contratto di lavoro ed è previsto l’obbligo per il datore di comunicare al lavoratore dipendente, all’atto di assunzione, il luogo di lavoro, ovvero, in mancanza di un luogo fisso o predominante, l’indicazione che egli verrà occupato in luoghi diversi.

Attualmente, vista la situazione di emergenza, sul tema delle trasferte si intrecciano numerosi provvedimenti di diverse autorità, sia a livello nazionale che regionale.

In generale, comunque, presupposto fondamentale è l’obbligo del datore di lavoro di adottare tutte quelle misure necessarie e preventive nel rispetto normativa generale per la sicurezza sul lavoro. Non devono essere tralasciate, inoltre, le misure previste durante l’emergenza epidemiologica, come il corretto utilizzo dei dispositivi di protezione individuale, l’osservanza delle distanze interpersonali, l’uso frequenti di igienizzati per le mani etc.

Il Protocollo di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus COVID-19 negli ambienti di lavoro, sottoscritto il 14 marzo 2020 e condiviso fra il Governo e le parti sociali (e richiamato dal DPCM 10 aprile 2020 e dai successivi), disciplina un obbligo informativo per i lavoratori: in presenza di febbre oltre i 37.5 o sintomi influenzali è fatto obbligo di rimanere al proprio domicilio e di chiamare il proprio medico di famiglia e l’autorità sanitaria; vi è poi il divieto di entrare o permanere in azienda se, anche successivamente all’ingresso, sussistano condizioni quali sintomi di influenza, temperatura, provenienza da zone a rischio o contatto con persone positive al virus nei 14 giorni precedenti, etc., e l’obbligo di dichiararlo tempestivamente.

Con specifico riferimento agli spostamenti per motivi lavorativi, la normativa vigente non prevede più alcun obbligo di dichiarazione alle autorità preposte per giustificare lo spostamento per comprovate esigenze lavorative (così come a suo tempo stabilito dall’art. 1, c. 1 lett. a), DPCM 10 aprile 2020 e poi dai successivi interventi) e non contiene più alcuna disposizione specifica sulle modalità con cui i lavoratori sono chiamati a svolgere l’attività lavorativa fuori dalla sede di lavoro.

Il suddetto Protocollo prevede però che siano sospese e annullate tutte le trasferte e i viaggi di lavoro nazionali e internazionali, anche se già concordati o organizzati, verso quei paesi considerati a rischio (vedasi allegato al DPCM 7 agosto 2010). Inoltre, sempre in ambito trasferte, è opportuno considerare la disciplina non direttamente correlata al processo produttivo aziendale valutando le ipotesi in cui a un lavoratore sia chiesto dal proprio datore di lavoro di svolgere l’attività lavorativa al di fuori del comune, regione o comunque in trasferta: in questo caso il lavoratore non potrà che osservare le specifiche direttive.

Il lavoratore chiamato a prestare attività all’esterno, inoltre, subirà l’impatto della disciplina prevista presso imprese terze, che adotteranno apposite misure relative alle modalità di accesso di persone esterne all’impresa.

Va considerata a questo proposito l’ipotesi i cui un lavoratore si rifiuti di prestare l’attività lavorativa fuori dalla sede aziendale per il timore di un possibile contagio: si applicherà in questo caso la disciplina generale relativa all’assenza ed il lavoratore si esporrà di conseguenza ad un possibile procedimento disciplinare, all’esito del quale potrà scaturire un provvedimento.

Da ultimo, bisogna considerare anche la gestione delle trasferte dei lavoratori verso l’estero: bisognerà andare a verificare in questi casi anche la normativa vigente nei singoli paesi di provenienza e di destinazione, considerando che anche le Regioni possono prevedere una disciplina particolare.

La disciplina generale prevede comunque l’isolamento fiduciario di 14 giorni per i lavoratori che rientrano da paesi diversi da quelli stabili dai DPCM o dalle norme regionali. È qui opportuno richiamare l’elenco dei Paesi soggetti a particolare disciplina in caso di spostamenti da e per l’estero di cui al recente DPCM 7 agosto 2020.

Passando poi ad analizzare un altro istituto che prevede lo spostamento dei lavoratori, ovvero il distacco, va considerato che la disciplina generale prevede alcuni requisiti che tale istituto deve presentare per poter godere di piena legittimità.

Il primo di questi requisiti è quello della temporaneità dell’invio presso altro soggetto, legato alla necessità che il proprio lavoratore svolga quella prestazione in luogo diverso da quello abituale.

È indispensabile poi che vi sia l’interesse del distaccante: il distacco deve presentare una motivazione oggettiva intrinseca dettata da ragioni funzionali all’attività imprenditoriale del distaccante, quali motivazioni tecniche, di formazione etc.

Infine, la gestione dei poteri: il potere organizzativo e direttivo vengono assolti dal distaccatario mentre rimane in capo al distaccante il potere disciplinare.

Nell’ambito del distacco intervengo tre soggetti: lavoratore dipendente comandato in distacco, datore di lavoro distaccante che dispone il distacco e che rimane titolare del rapporto di lavoro, e “datore di lavoro” distaccatario che riceve presso la sua sede il lavoratore e che su di esso esercita il potere organizzativo/direzionale.

Così come per le trasferte, anche per l’istituto del distacco sono state previste norme specifiche per l’emergenza sanitaria. La maggior parte di esse sono state sopra presentate in riferimento all’istituto, simile, della trasferta.

Con specifico riferimento al distacco, inoltre, il Messaggio Inps del 15 aprile 2020, n. 1633, ha previsto l’estensione della durata della validità dei formulari A1, rilasciati dalle Istituzioni appartenenti allo Spazio economico europeo ai sensi degli articoli 11 e 12 del regolamento (CE) n. 883/2004, con scadenza nel periodo tra il 31 gennaio 2020 e il 31 luglio 2020.

Qualora il lavoratore distaccato fosse costretto a rimanere nel paese ospitante, la validità dei formulari A1 deve ritenersi estesa fino al termine dello stato di emergenza anche in assenza della richiesta esplicita di deroga, al fine di facilitare la protezione previdenziale dei lavoratori in mobilità.

Per i lavoratori che svolgono attività lavorativa in due o più Stati si applica invece l’articolo 13 del regolamento (CE) n. 883/2004, che individua i criteri per la determinazione della legislazione applicabile sulla base del concetto di “attività prevalente” (particolare rilievo viene attribuito all’attività esercitata nello Stato di residenza, che deve essere almeno pari al 25% dell’attività complessivamente svolta).

In ragione delle misure di limitazione della mobilità transfrontaliera, tuttavia, questa categoria di lavoratori potrebbe essere costretta a permanere nello Stato estero, con modifica dei parametri di valutazione dell’attività lavorativa e conseguente applicazione della legislazione previdenziale dello Stato estero.

Per rimediare a tale eventualità, i formulari A1 (rilasciati ai sensi del sopracitato articolo 13) dovranno ritenersi validi prescindendo dalle variazioni della soglia percentuale dell’attività complessivamente svolta determinatasi a causa delle citate restrizioni alla mobilità.

Infine, il Consiglio dei Ministri ha deliberato, nella seduta del 29 luglio 2020, la proroga dello stato di emergenza sul territorio nazionale fino al 15 ottobre 2020. Si attendono quindi chiarimenti da parte degli Istituti in relazione alla possibilità di estendere i certificati di distacco, tenendo conto del nuovo termine previsto per lo stato di emergenza.

Francesco Geria – LaborTre Studio Associato