Ammortizzatori sociali Covid-19: ulteriore proroga con il decreto fiscale

Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del Decreto Legge 21 ottobre 2021, n. 146, cosiddetto Decreto Fiscale, entrano in vigore una serie di norme in materia di lavoro. Particolarmente rilevanti sono le disposizioni relative ai trattamenti di integrazione salariale connessi all’emergenza epidemiologica da Covid-19.

Infatti, i datori di lavoro che hanno usufruito dei trattamenti di assegno ordinario e di cassa integrazione salariale in deroga per un massimo di 28 settimane nel periodo compreso tra il 1° aprile e il 31 dicembre 2021, possono accedere ad ulteriori 13 settimane di trattamenti di assegno ordinario (FIS, FSBA e altri Fondi) e di integrazione salariale in deroga, nel periodo compreso tra il 1° ottobre e il 31 dicembre 2021, in conseguenza della sospensione o riduzione dell’attività lavorativa per eventi riconducibili all’emergenza Covid-19.

I trattamenti possono trovare applicazione esclusivamente con riferimento ai lavoratori già in forza al 22 ottobre 2021 (data di entrata in vigore del D.L. n. 146/2021).

Inoltre, per l’utilizzo dei predetti ammortizzatori sociali non è dovuto alcun contributo addizionale.

Il Decreto Fiscale introduce poi ulteriori 9 settimane di trattamento ordinario di cassa integrazione guadagni a favore dei datori di lavoro appartenenti ad uno dei settori elencati di seguito identificati con i codici Ateco 13, 14 o 15, che sospendono o riducono l’attività per eventi connessi all’emergenza Covid-19:

  • industrie tessili;
  • confezione di articoli di abbigliamento e di articoli in pelle e pelliccia;
  • fabbricazione di articoli in pelle e simili.

Le ulteriori 9 settimane di trattamento ordinario di cassa integrazione possono essere utilizzate nel periodo compreso tra il 1° ottobre e il 31 dicembre 2021 e il datore di lavoro non è tenuto a pagare alcun contributo addizionale.

I nuovi trattamenti di integrazione salariale (13 settimane e 9 settimane) possono essere riconosciuti esclusivamente ai datori di lavoro che abbiano rispettivamente

  • già goduto ed esaurito le precedenti 28 settimane per FIS, FSBA e CIGD;
  • ovvero aver utilizzato tutte le settimane richieste rispetto alle 17 disponibili per quanto attiene l’ambito Cigo (quindi non è necessario aver comunque goduto di tutte le 17 settimane).

Le domande di accesso ai predetti trattamenti devono essere inoltrate all’Inps entro la fine del mese successivo a quello in cui ha avuto inizio il periodo di sospensione o riduzione dell’attività lavorativa, pena la decadenza dal medesimo trattamento di integrazione salariale.

In caso di pagamento diretto delle prestazioni da parte dell’Inps, ferma restando la possibilità di ricorrere all’anticipazione del trattamento in misura pari al 40% delle ore autorizzate nell’intero periodo, il datore di lavoro è tenuto a inviare all’Istituto tutti i dati necessari per il pagamento o per il saldo dell’integrazione salariale entro la fine del mese successivo a quello in cui è collocato il periodo di integrazione salariale, ovvero, se posteriore, entro il termine di trenta giorni dall’adozione del provvedimento di concessione.

Trascorsi inutilmente i predetti termini, il pagamento della prestazione e gli oneri ad essa connessi rimangono a carico del datore di lavoro inadempiente.

Ai datori di lavoro che presentano domanda per usufruire degli ammortizzatori sociali di cui si tratta si applica il divieto di licenziamento. In particolare, per la durata della fruizione del trattamento di integrazione salariale, restano preclusi:

  • i licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo;
  • l’avvio delle procedure di licenziamento collettivo;
  • le procedure in corso del tentativo obbligatorio di conciliazione in caso di licenziamento per GMO (obbligo posto a carico delle aziende con più di 15 dipendenti per i licenziamenti riguardanti lavoratori ai quali non risulta applicabile la disciplina delle tutele crescenti).

Le sospensioni e le preclusioni come sopra evidenziate non sono applicabili nelle seguenti ipotesi:

  • licenziamenti motivati dalla cessazione definitiva dell’attività dell’impresa oppure dalla cessazione definitiva dell’attività di impresa conseguente alla messa in liquidazione della società senza continuazione, anche parziale, dell’attività, nei casi in cui nel corso della liquidazione non si configuri la cessione di un complesso di beni o attività che possano configurare un trasferimento d’azienda o di un ramo di essa ai sensi dell’articolo 2112 del codice civile;
  • accordo collettivo aziendale, stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro, limitatamente ai lavoratori che aderiscono al predetto accordo (a detti lavoratori è comunque riconosciuta l’indennità di disoccupazione NASpI);
  • licenziamenti intimati in caso di fallimento, quando non sia previsto l’esercizio provvisorio dell’impresa o ne sia disposta la cessazione. Qualora l’esercizio provvisorio sia disposto per uno specifico ramo dell’azienda, sono esclusi dal divieto i licenziamenti riguardanti i settori non compresi nello stesso.

È qui importante sottolineare come, a differenza di quanto il Legislatore aveva previsto in precedenza con riferimento al divieto di licenziamento connesso agli ammortizzatori sociali Covid-19, con tale nuovo provvedimento il divieto di licenziamento sembra potersi applicare ai soli datori di lavoro che usufruiscono dei trattamenti di integrazione salariale introdotti e per la sola effettiva durata degli ammortizzatori stessi.

Le previgenti disposizioni in materia di blocco di licenziamenti, infatti, risultavano applicabili a tutti i datori di lavoro potenziali beneficiari dei trattamenti di integrazione salariale, a prescindere dal fatto che gli ammortizzatori sociali fossero stati utilizzati o meno.

Francesco Geria – LaborTre Studio Associato