Il valore della cessione della clientela lo fissa il giudice

Spetta al giudice di merito l’onere di determinare il valore del trasferimento dell’attività professionale (e quindi della clientela oggetto di cessione) se questo non è indicato espressamente nel contratto. È questo quanto emerge dall’ordinanza n. 3400 del 6 febbraio 2019 della Corte di cassazione.

Inoltre, secondo la Cassazione, se la cessione è intervenuta prima dell’entrata in vigore della disciplina introdotta dal D.L. n. 223/2006, il corrispettivo percepito in relazione alla cessione della clientela deve essere ricondotto alla categoria dei “redditi diversi” ex articolo 67, comma 1, lettera l) del Tuir).

La vicenda

L’Amministrazione finanziaria aveva notificato un avviso di accertamento alla contribuente per l’omessa dichiarazione, nell’anno d’imposta 2005, tra i redditi diversi, di corrispettivi ricavati dalla cessione della sua attività professionale. Contro tale avviso, la contribuente aveva presentato ricorso ma i giudici di merito avevano respinto le ragioni della contribuente poiché il trasferimento di un’attività professionale svolta in forma d’impresa giustifica l’attrazione dell’intero corrispettivo nell’ambito dei redditi diversi, ai sensi dell’articolo 67, comma 1, lettera l), per cui costituiscono redditi diversi i “redditi derivanti dall’assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere”.

Secondo la contribuente che ricorre in Cassazione, invece, la Commissione Tributaria Regionale ha erroneamente qualificato come reddito diverso l’intero corrispettivo della cessione, non tenendo conto che, ai sensi dell’articolo 36, comma 29, D.L. n. 223/2006, i corrispettivi derivanti dalla cessione della clientela sono qualificabili come redditi riferibili all’attività professionale.

Le conclusioni della Corte di Cassazione

La suprema Corte, pur non accogliendo totalmente la tesi della contribuente, sancisce però che i proventi riguardanti la cessione della clientela concorrono a formare il reddito come redditi diversi se percepiti in epoca antecedente l’entrata in vigore della disciplina introdotta dal D.L. 223/2006, mentre devono essere tassati come redditi di lavoro autonomo dalla data di entrata in vigore di detto provvedimento normativo.

Ai fini di cui sopra, infatti, va detto che lo specifico regime di tassazione da applicare ai corrispettivi percepiti in relazione alla cessione della clientela secondo il quale “concorrono a formare il reddito (di lavoro autonomo) i corrispettivi percepiti a seguito di cessione della clientela o di elementi immateriali comunque riferibili all’attività artistica o professionale” è stato introdotto soltanto a decorrere dal 2006 con il D.L. n. 223.

La Suprema corte, in merito, precisa che essendo la cessione avvenuta prima dell’entrata in vigore del suddetto D.L. n. 223/2006, i corrispettivi non possono essere assoggettati temporalmente a tale normativa innovativa; pertanto, precisa la Suprema corte, il provento percepito andava assoggettato a imposizione quale reddito diverso. Per la Cassazione, però, ai sensi della lettera l) dell’articolo 67, comma 1 del TUIR che ricomprende tra i redditi diversi quelli “derivanti da attività di lavoro autonomo non esercitabile abitualmente o dalla assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere” sbaglia la Commissione Tributaria Regionale  quando, pur avendo accertato che il trasferimento ha come oggetto non soltanto la clientela, e i relativi obblighi di fare, non fare o permettere, ma anche il complesso di beni idonei allo svolgimento dell’attività (conoscenze, procedure, personale e know-how), assoggetta a imposizione l’intero importo ricevuto anziché solo quello imputabile al trasferimento della clientela.

Stante quanto sopra, quindi, atteso che il valore della cessione della clientela avrebbe dovuto essere desunto dal testo del contratto sottoscritto dalle parti e che il corrispettivo inerente la cessione della clientela debba essere assoggettato a imposizione quale reddito diverso, se l’importo della cessione non è espressamente indicato nel contratto, spetta alla Commissione Tributaria Regionale il potere di determinare il giusto valore della cessione.

Massimo D’Amico – Centro Studi CGN