La determinazione del corrispettivo nelle nuove co.co.pro.

In questo articolo vogliamo soffermarci su quello che è stato definito come uno degli aspetti più singolari del contratto a progetto: la determinazione del corrispettivo, con particolare riferimento alle ultime precisazioni ministeriali.

Le collaborazioni coordinate continuative anche a progetto sono disciplinate dagli articoli da 61 a 69 del decreto legislativo n. 276/2003, che ne disciplinano, tra gli altri, diversi aspetti, quali:

  • la definizione ed il campo di applicazione;
  • la forma;
  • gli obblighi e diritti del lavoratore;
  • il regime di estinzione del contratto di collaborazione;
  • previsioni di conversione dei contratti di collaborazione.

All’indomani delle modifiche introdotte dalla L. n. 92/2012, l’art. 63 del D.Lgs. n. 276/2003 dispone:

  • che il compenso debba essere proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro eseguito
  • in relazione a ciò e  alla particolare natura della prestazione e del contratto non può essere inferiore ai minimi stabiliti in modo specifico per ciascun settore di attività, eventualmente articolati per i relativi profili professionali tipici
  • e in ogni caso sulla base dei minimi salariali applicati nel settore medesimo alle mansioni equiparabili svolte dai lavoratori subordinati, dai contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale a livello interconfederale o di categoria ovvero, su loro delega, ai livelli decentrati.

Se da più parti tali previsioni hanno destato qualche perplessità, in merito a come identificare i parametri di riferimento per la determinazione del corrispettivo (posto che le collaborazioni coordinate e continuative anche a progetto non costituiscono lavoro subordinato e che, salvo le poche e recentissime eccezioni, non hanno un CCNL) al comma successivo la norma è giunta “in soccorso” prevedendo che:

“in assenza di contrattazione collettiva specifica, il compenso non può essere inferiore, a parità di estensione temporale dell’attività oggetto della prestazione, alle retribuzioni minime previste dai contratti collettivi nazionali di categoria applicati nel settore di riferimento alle figure professionali il cui profilo di competenza e di esperienza sia analogo a quello del collaboratore a progetto”…

Se indubbio è l’interesse che queste previsioni hanno suscitato negli addetti ai lavori, altrettanto interessante è stata la specificazione del Ministero del lavoro (Circ. 22 aprile 2013 n. 7258) che relativamente ai criteri da seguire per la definizione del corrispettivo del collaboratore ha chiarito che il compenso non deve essere parametrato al tempo impiegato per realizzare il progetto, ma che tuttavia “l’elemento temporale rileva ai fini della valutazione circa la congruità dell’importo attribuito al collaboratore sulla base del contratto collettivo di riferimento.”

Ora, nella stessa nota il Ministero ha anche sottolineato il riferimento del nuovo art. 63 “ai minimi salariali applicati nello specifico settore alle mansioni equiparabili svolte dai lavoratori subordinati, in forza dei contratti collettivi sottoscritti dalle Organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, a livello interconfederale o di categoria ovvero, su loro delega, ai livelli decentrati”. Premesso che, a parere di chi scrive, la previsione di un corrispettivo parametrato ai minimi “salariali” parrebbe quanto meno inconsueta per le collaborazioni a progetto, che, di norma, attengono a prestazioni dal contenuto professionale elevato, a chiarimento del punto, la citata nota ricorda che laddove non si rinvenga una contrattazione per lo specifico settore, a parità di estensione temporale (che cos’è l’estensione temporale se non una sorta di orario di lavoro?) dell’attività oggetto della prestazione, si fa riferimento “alle retribuzioni minime previste dai contratti collettivi di categoria applicati nel settore di riferimento alle figure professionali il cui profilo di competenza e di esperienza sia analogo a quello del collaboratore a progetto”.

Se di indubbio interesse risultano le espressioni del legislatore e le precisazioni ministeriali su questi argomenti, non meno meritevoli di attenzione saranno le traduzioni operative da parte degli addetti ai lavori nella redazione pratica dei contratti a progetto, come anche il mantenimento delle collaborazioni a progetto nell’ambito delle prestazioni di carattere autonomo (seppur in coordinamento con il committente), vista la progressiva assimilazione sotto più profili alle forme del lavoro subordinato.

Stefano Carotti – Centro Studi CGN